RomaLe manovre economiche varate per «salvare» il Paese negli ultimi quattordici mesi, centrate nell'aumento delle tasse, hanno prodotto un impatto devastante sull'economia italiana, che quest'anno segnerà «un risultato eccezionalmente negativo»: un Pil in discesa del 2,4%. Le parole del presidente della Corte dei Conti, Luigi Giampaolino, sono molto crude. Intervenendo alla Camera, dice: «Si realizzano risultato importanti nel controllo della finanza pubblica, ma i mercati li riconoscono solo in parte; si continuano a inasprire le manovre correttive, ma l'economia reale non riesce più a sopportarne il peso». L'eccesso di rigore sui conti pubblici, accompagnato dall'aumento della pressione fiscale, è «una terapia molto costosa e in parte inefficace».
A causa delle manovre basate sulle imposte si sta creando quello che il presidente della magistratura contabile definisce un «corto circuito fra rigore e crescita». Le manovre correttive attuate dal luglio 2011 potrebbero, da sole, determinare una riduzione cumulata del Pil di due punti e mezzo nel triennio 2012-2014. La pressione fiscale va a superare il 45%, e nonostante questo le entrate fiscali 2013 diminuiranno di 21 miliardi sul previsto. A questo punto il previsto pareggio di bilancio 2013, promesso all'Europa, «poggia su un equilibrio precario». Non è un caso che il recente aggiornamento del Documento di economia e finanza (Def) stimi una crescita negativa anche nel 2013, dopo l'annus horribilis 2012. E non è un caso che il presidente della Confindustria Giorgio Squinzi ammetta: «Per una vera ripresa metto la firma per il 2015». Intanto pure Bankitalia sottolinbea che per riavviare la crescita economica serve «ridurre l'insieme delle spese, spostarsi da quelle meno produttive verso quelle che rafforzano il potenziale dell'economia, abbassare la pressione fiscale sui contribuenti in regola, sul lavoro, sulle imprese», chiede il vicedirettore Salvatore Rossi.
Dunque, la Corte dei Conti certifica che l'economia italiana non ce la fa più. Dall'inizio della crisi, nel 2008, il Pil italiano ha perso 270 miliardi di euro. La spesa delle famiglie a metà 2012 si è contratta del 4%, «un dato che è destinato a peggiorare nella seconda parte dell'anno e nei primi mesi del 2013». Ed è sbagliato attribuire questi numeri catastrofici al rallentamento dell'economia europea e globale. E del resto gli stessi numeri dei documenti governativi dicono che due terzi della riduzione del Pil 2013 vanno imputati alle dimensioni e alla composizione delle manovre economiche.
Di fisco e di manovre si può anche morire. In Italia sta per accadere soprattutto se la ripresa non arriverà l'anno venturo. Forse qualcosa migliorerà a fine 2013, ma Squinzi ipotizza che non ci sarà niente di serio fino al 2015. «Dobbiamo recuperare almeno dieci punti di competitività sulla Germania, possiamo farlo lavorando di più».
Preoccupazioni che hanno spinto i deputati alle prese con la delega fiscale a riproporre il fondo taglia tasse, escluso dal premier Monti e dal ministro Grilli. Nell'emendamento del relatore si fa riferimento al fondo che la manovra estiva fa partire nel 2014, e si specifica che dovrà essere alimentato dalla lotta all'evasione.
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