Dal rimpasto alle Olimpiadi: Renzi ai ferri corti con Letta

Respinta l'ipotesi di un ingresso al governo. Critiche per la scelta del premier di presenziare al via dei Giochi

Dal rimpasto alle Olimpiadi: Renzi ai ferri corti con Letta

Roma - Divisi da Sochi. Nella guerra dei nervi tra Enrico Letta e Matteo Renzi anche le Olimpiadi invernali alimentano la polemica.

Così, appena il premier annuncia che lui - a differenza di molti capi di Stato e di governo occidentali - parteciperà alla cerimonia di apertura a fianco di Putin, un gruppo di senatori (renziani) del Pd lo attacca: «Ci ripensi. I principali leader europei non andranno all'inaugurazione delle Olimpiadi di Sochi, è incomprensibile che l'Italia partecipi al massimo livello. Non si contrasta certo così la politica discriminatoria nei confronti di gay e minoranze perpetrata da Putin». Il premier si difende spiegando che la sua presenza è necessaria «per difendere la candidatura di Roma per i Giochi del 2024, in cui crediamo molto», e assicura che nell'occasione «ribadirò la contrarietà dell'Italia a norme discriminatorie contro i gay», ma le critiche dalla comunità Lgbt non si placano. Mentre il renziano Giachetti critica Letta e la Boldrini per la «gara» a chi la spara più grossa sui grillini, i cui eccessi vanno sì stigmatizzati e «sanzionati a norma di Regolamento», ma senza eccedere: «inviterei a riflettere meglio prima di parlare di “eversione” o di “attentati alla democrazia”, l'ostruzionismo o la richiesta di impeachment sono strumenti costituzionali, si possono rigettare nel merito ma non sono fuorilegge».

Anche senza Olimpiadi invernali, comunque, il clima tra palazzo Chigi e Nazareno resta teso. La sospirata firma del nuovo accordo di maggioranza, che Letta aveva chiamato «Impegno 2014» e che dovrebbe segnare la nuova fase del suo governo non arriva. E Renzi non sembra per nulla intenzionato a mollare l'osso finché non avrà portato a casa la legge elettorale, almeno in prima lettura. Sul cammino dell'Italicum le trappole sono ancora molte: il testo tornerà nell'aula di Montecitorio la settimana prossima, e in tre giorni al massimo dovrebbe essere licenziato. Ma nei voti a scrutinio segreto sugli emendamenti sono ancora possibili sorprese, se si coalizzassero nell'urna tutti gli scontenti e i nemici della riforma. Non tanto sulla questione delle preferenze, che anche la minoranza Pd teme, quanto sulle soglie di sbarramento: contro lo sbarramento al 4% potrebbero saldarsi sinistra Pd e Sel, insieme agli altri partitini e ai 5Stelle. Renzi, intervistato da Repubblica, avverte i suoi: «Non si può rischiare a colpi di emendamenti di far saltare tutto. Abbiamo fatto un accordo e non accetto piccole furbizie. Siamo un partito, non un club di liberi pensatori». A chi a sinistra lo accusa di aver spinto Casini nelle braccia di Berlusconi replica ironico: «Per vincere non bastano le alleanze tra leader, servono i voti. Vanno conquistati gli elettori, non i leader».

Quanto al governo, il sindaco invita Letta a non tirarlo per la giacca: «Tocca a lui decidere cosa fare, dica cosa vuol cambiare e quali ministri sostituire. Ma non si usi l'alibi del Pd per evocare un rimpasto o mettere dei renziani». Le voci che darebbero Letta pronto a mettere il renziano Delrio al Viminale al posto di Alfano sanno molto di un tentativo di «incastro» che non lo vedrà mai consenziente. «C'è bisogno di una svolta, non di tirare a campare. Se Letta e Alfano pensano di risolvere mettendo qualcuno dei miei nel governo cascano male», dice ai suoi. Incassato l'Italicum, si prepara ad incalzare il governo «sulle cose da fare».

E di qui a fine mese ha già convocato due Direzioni Pd per varare sia il pacchetto di riforme costituzionali che una serie di provvedimenti in materia di lavoro e di diritti: dalle unioni civili alla revisione della Bossi-Fini sull'immigrazione. Con buona pace di Alfano.

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