Il rimpianto di Bersani: quel tacchino sul tetto

In tv da vecchio zio bonaccione: "Metà degli italiani non ha capito la mia battuta"

Il rimpianto di Bersani: quel tacchino sul tetto

Macchè Grillo, il boom del Pd o la bocciatura della politica economica del governo, «io vorrei parlare del tacchino». Già, il pennuto che nel gergo del Pier Luigi in campagna elettorale alle politiche 2013, non si capiva bene dove dovesse stare. Sul tetto, in mano o in padella. Fa una certa tenerezza il Bersani nella nuova versione zio bonaccione e un po' noiosetto. Messe da parte le ambizioni di smacchiare felini con artigli più lunghi dei suoi, il teorico del partito-ditta può essere persino una buona compagnia per trascorrere una serata in un salotto tv. Negli ultimi mesi è successo di tutto sotto il cielo della politica, a cominciare dall'exploit del suo ex rivale Matteo Renzi, e lui torna a dispensare metafore come un vecchio saggio, ma senza l'acredine del perdente che insegue a tutti i costi la rivincita. Anche per questo, in fondo, tenerezza fa rima con simpatia.

Lunedì era l'ospite d'onore della puntata d'esordio dell'Aria che tira stasera (4,62 per cento di share), accompagnato da Peter Gomez, direttore del Fattoquotidiano.it, e da Vittorio Feltri. Si è parlato di tutto, dal ruolo dei sindacati alla sciagura della concertazione che frena il rinnovamento del Paese, dai baby pensionati allo sciopero della Rai provocato dal prelievo di 150 milioni del governo dalle casse della Tv pubblica. Argomenti sui quali, tra un «è venuto il momento di consegnare la merce» e un «dobbiamo decidere dove tirare la riga», Bersani ha evidenziato un grado di lucidità almeno pari a quello della pelata che ogni tanto si lisciava, indugiando sulla cicatrice dell'intervento cui si è sottoposto a inizio anno. Sulla Rai, per esempio, ha riscosso anche il consenso di Feltri, osservando: «Ma il proprietario non è il ministero del Tesoro? Si è mai visto un padrone che taglia i fondi senza spiegare ai suoi dipendenti il piano di rilancio dell'azienda?». Insomma, libero da competizioni dentro e fuori il partito, ma probabilmente in possesso di quel grado di distacco che il superamento dell'emorragia cerebrale gli ha lasciato in eredità, il buon Bersani non le ha mandate a dire al giovane erede. «Lei sta criticando Renzi», ha realizzato in tempo reale Myrta Merlino. Massì, mandava un segnale. Senza però voler aprire fronti e inaugurare fronde: «Stavolta ci sarà lealtà», ha ripetuto non rinunciando a un altro segnale.

Quel che in realtà più gli interessava era, chissà perché, spiegare la faccenda del tacchino. Come se attorno alle sorti dei bargigli del gallinaceo anche le sue, di candidato premier, avrebbero potuto essere diverse. L'occasione gliela offriva il tweet di tale @giannikuperlo che, a proposito di sue ambizioni quirinalesche, subito smentite, lo canzonava: «Valutiamo anche il tacchino sul tetto come corazziere». Ecco il balzo per prendere il gallinaceo al volo e cucinarlo finalmente alla sua maniera.

Era stato il presidente della Spd Sigmar Gabriel a raccontargli quel proverbio - «meglio un piccione in mano che un tacchino sul tetto» - equivalente del nostro «meglio un uovo oggi che una gallina domani». «Ho trovato davvero singolare che mezza Italia non l'abbia capito», ha ammesso il buon Pier Luigi, carezzandosi la pelata...

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