Politica

Il ritorno (impossibile) di Bossi al Carroccio

Contro Salvini parte svantaggiato: ha raccolto un quarto delle firme dello sfidante

Il ritorno (impossibile) di Bossi al Carroccio

Milano - Povero Umberto Bossi. Vuole riprendersi la poltrona di segretario della Lega ma la corsa comincia a handicap. Ieri si sono chiusi i termini per presentare le candidature, occorrevano mille firme sotto il nome dell'aspirante segretario, il Senatur ha superato di poco la soglia ma il suo contendente, Matteo Salvini, ne ha raccolte quasi quattro volte di più. Che umiliazione per il vecchio leone.

Da tempo Bossi non è più la Lega, gli scandali e le inchieste hanno travolto il suo regno. Da ieri però è ufficiale che anche la Lega ha voltato le spalle a Bossi. Il Carroccio guarda avanti, i militanti vogliono energie giovani e non il ritorno al passato. Bossi si presenta come leader della vecchia guardia, mentre Maroni e Salvini (più Tosi, che punta alle primarie del centrodestra) sanciscono anche con i numeri che l'Umberto può soltanto combattere in retroguardia.

È un frangente senza precedenti per la Lega Nord. Bossi non ha mai avuto investiture popolari, forte di un carisma incontrastato. Bobo Maroni è stato eletto dal congresso: procedura democratica, ma la base elettorale era sempre circoscritta. Adesso, sabato 7 dicembre, la parola passa direttamente agli iscritti: saranno i militanti a decidere nelle primarie, e trattandosi di una corsa a due sarà una sorta di ballottaggio. Il leader storico contro un quarantenne, il vecchio contro il nuovo, la nostalgia contro il futuro.

Strano che Bossi si sia caricato questo ruolo. Per anni le sue idee guardavano a un futuro lontano, immaginifico. L'utopia della secessione, poi del federalismo, infine del federalismo fiscale, un'autonomia in sedicesimo. Maroni, più pragmatico, ha fatto propria la sfida della buona amministrazione. La lezione che la Lega può impartire a Roma non è più quella che mescola folklore e rivolta, ma la solidità di enti locali ben amministrati, facce nuove, voglia di fare. Un pragmatismo senza grandi ideali, visto che la macroregione vagheggiata da Maroni è irrealizzabile.

Ma a Bossi questo Carroccio privo di afflati rivoluzionari e reminiscente celtico-padane non va giù. E in realtà non digerisce nemmeno il repulisti di Maroni, il lavoro delle ramazze sventolate dalla platea ruggente di Bergamo che giustiziò (politicamente) il cerchio magico di Renzo Bossi, Rosi Mauro, Federico Bricolo, Marco Reguzzoni e molti altri.

Oggi conosceremo i numeri precisi delle sottoscrizioni per le candidature. Secondo i primi calcoli, ha partecipato il 40 per cento degli aventi diritto; perciò il nettissimo divario a favore di Salvini, eurodeputato e segretario della Lega lombarda, ha un significato preciso. Non ce l'ha fatta di poco Giacomo Stucchi, presidente del Copasir e anch'egli maroniano. La sua candidatura è stata interpretata come un avviso lanciato all'attuale segretario da una parte dei suoi: ok al nuovo, ma Salvini con le sue intemperanze non è il politico più adatto a guidare la Lega.

La mossa non è andata a buon fine. Il responso di queste «pre-primarie» è dunque chiaro. Maroni ha mobilitato i suoi per Salvini dando una pesante lezione a Bossi. Il partito è in mano a Bobo. Il Senatur dovrà accontentarsi di fare il capo della minoranza interna.

Sai che soddisfazione.

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