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Schiva, senza trucco e in silenzio. Così la protagonista esce di scena

La mattinata della testimone-chiave tornata in Italia dopo una vacanza in Messico. Karima El Mahroug arriva in aula assieme al fidanzato ma alla fine nessuno la interroga

Schiva, senza trucco e in silenzio. Così la protagonista esce di scena

I connotati peggiori glieli ha cambiati il tempo. Di quella maschera fatta di troppa vita non è rimasto quasi nulla: la pelle è liscia, i lineamenti non sono più ingrugniti, il trucco è meno arrabbiato, perfino il corpo si è assottigliato. E cammina con i piedi per terra in un paio di moonboot neri. È ripartita da zero con il peggio già sul tavolo. Perché avere un'antagonista aiuta a definirsi. E la sua antagonista peggiore è stata lei stessa. Quasi non sembra più l'emblema di una generazione in debito di utopia. Si aggrappa al papà di sua figlia (per quanto spiritualmente anemico), a casa ha, appunto, una bambina e lei non è più quell'irrequieta orgia di lustrini, gloss e acrilico. Si presenta in tribunale carica di buona volontà come un cannolo. Ma, sorpresa, non serve. La minorenne più «inseguita» della storia arriva davanti ai giudici di Milano il 14 gennaio, cioè fuori tempo massimo. Aspetta tre ore e mezza con una multa di cinquecento euro che le pende sulla testa per la mancata comparizione all'udienza precedente, con i benefici di una vacanza in Messico durata almeno un mese, aspetta tre ore la decisione del presidente della corte e poi viene liquidata. Con lei, sempre i numeri a mettersi di traverso.

Karima El Mahroug, detta Ruby, non viene ascoltata. E di suo non apre bocca perché avvicinarsi alla stampa non è igienico nella sua situazione. Guarda i giornalisti come se fosse Jane Goodall alle prese con i suoi scimpanzé. Perciò entra scortata, la «transennano» in una fetta di corridoio e i carabinieri la proteggono tutto il tempo: anche quando va in bagno o alla macchinetta del caffè o a mangiarsi un panino. Poi se ne va a bordo di un paziente taxi che la attende a un ingresso laterale del Palazzo di Giustizia e a nulla serve provare a correrle dietro. Per tutto il tempo resta in silenzio, bacia sulla bocca il fidanzato Luca Risso, lenisce le labbra con burro di cacao e fa piccole passeggiate in tondo per impedire alla circolazione di bloccarsi. Come si fa in aereo quando si ha il posto in economy e il viaggio è troppo lungo. L'intera aula del tribunale della sezione penale al primo piano, ieri, è diventata il gate di un aeroporto in tilt per il ritardo. Orde di giornalisti arrivati da ogni dove, perfino dall'estero, appiccicati nell'attesa. Bottigliette d'acqua e giochini ammazza-tempo sugli iPad, giornali accartocciati, telefonini incandescenti, inspiegabili alleanze nella disgrazia di essere tutti schiacciati lì avendo perso il senso del perché esserci. Un bivacco composto in attesa della voce di Ruby e della sua verità. Che non sono mai arrivate.

E lei là, dietro le transenne, l'esile diva muta. Sciarpone e capello liscio che sono l'inizio di qualsiasi metamorfosi verso il perbene. Ma snobbata lo stesso. Proprio quando, finalmente, decide di concedersi. Una brava ragazza per forza, la nuova Ruby. Il suo momento arriva dopo ore di noia ed effusioni molli e impazienza. Ma nessuno è più interessato a lei. La Boccassini ha la chioma rossa in fiamme e insiste coraggiosamente con le calze a righe (quelle del servizio «incriminato» pubblicato da Chi) mentre si «accontenta» di acquisire i verbali resi da Ruby in sede di indagini preliminari. Quelli pieni di roba che conoscono tutti, ma che non verrà «animata» di nuovo. Aspetta zitta e resta zitta. Non se ne parli più di tutta questa storia. Che tanto si è sentito troppo e si è immaginato ancor di più. Dal portone di Arcore alla porta laterale del tribunale di Milano. Ruby ci si infila e scompare. In silenzio.

Lei non lo sa ancora, ma gli eventi, finalmente, l'hanno lasciata flirtare in pace con il pensiero di una nuova sé.

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