La scienziata con la sclerosi boccia la vivisezione

Per dirla con le sue parole, Susanna Penco è venuta al mondo con la «fedina penale sporca». La fedina in questo caso è genetica perché a causa del suo Dna è affetta da sclerosi multipla. La Penco però non è solo una donna malata, ma è anche una ricercatrice e biologa che lavora all'università di Genova dedicandosi alle colture cellulari in vitro. E una donna coraggiosa: ha alle spalle 18 anni di lotta alla malattia degenerativa da cui è affetta - nella vita come nel lavoro - e una convinzione maturata grazie ai suoi studi: la sperimentazione sugli animali è dannosa.
Susanna Penco non ne fa - solo - una questione di rispetto degli animali: oltre a considerare intollerabile l'idea di «infliggere sofferenze ad altri esseri» per lei questo tipo di esperimenti sono inutili.
Come ha raccontato ieri per la campagna di sensibilizzazione dalla Federazione Italiana Associazioni Diritti Animali e Ambiente, i fondi per la sclerosi vengono dedicati alle sperimentazioni sui topi: «Alcune volte - ha spiegato - gli animali tornano a essere sani, ma i topi sono fatti ammalare artificialmente, perché nessun animale al mondo, a parte l'uomo, si ammala di sclerosi multipla , e gli animali guariscono con terapie che poi si rivelano, il più delle volte, inutili per la nostra specie». I risultati insomma non sarebbero trasferibili all'homo sapiens.
Non sarebbe meglio allora utilizzare i fondi per qualcosa di più utile, si chiede la Penco? «La predisposizione alla malattia - ha spiegato - è condizionata dal Mhc (Major Histocompatibility Complex), che è una specie di "codice fiscale" naturale che ciascuno di noi ha». Perché non identificare l'Mhc dei malati di sclerosi multipla? Certo, l'esame è costoso, ma «costerà sempre meno delle migliaia di ricerche su migliaia di topi che conducono al quasi nulla».
La voce della ricercatrice si è fatta sentire mentre in Senato si discute del recepimento della norma europea sulla vivisezione: l'articolo 14 impegnerebbe il Governo a vietare l'allevamento di cani, gatti e primati destinati alla sperimentazione. La norma caldeggiata dall'ex ministro Michela Vittoria Brambilla, è stata ribattezzata «Anti-Green Hill», sulla scia della battaglia contro l'allevamento di Montichiari. I 2639 beagle dell'allevamento per cavie da laboratorio hanno trovato un nome, e una famiglia, ma i giochi non sono ancora conclusi, perché il canile è rimasto aperto. L'unico che può mettere la parola fine alle «fabbriche di cavie» è il Senato: per questo l'onorevole Vittoria Brambilla ieri ha invitato i senatori a «diventare promotori di una ricerca moderna che investa in metodi sostitutivi».

E intanto in vista della battaglia parlamentare anche il fronte pro-vivisezione ha affilato le armi: martedì prossimo a Roma l' Istituto di Ricerche Farmacologiche «Mario Negri» ha organizzato un evento per spiegare perché è ancora necessario sperimentare sugli animali.

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