Scola gela il tifo da ultrà per il Papa

Il cardinale elogia il Pontefice ma non si unisce al coro: "La freschezza della chiesa latina non risolve tutto"

Scola gela il tifo da ultrà per il Papa

Se fosse una malattia, forse si chiamerebbe depressione. Colpisce l'Europa e le Chiese europee e si manifesta con «una grande stanchezza, una difficoltà a reggere il compito», un «disagio» sentito «acutamente» e che lui stesso, dopo Natale, aveva avvertito come una «percezione dolorosa».

Il cardinale Angelo Scola fa questa analisi come una confessione con un tratto persino intimo, perché nell'immaginario collettivo ha personificato e personifica la Chiesa occidentale, tanto che molti (anche nella Conferenza episcopale italiana) erano convinti che sarebbe stato lui ad affacciarsi in piazza San Pietro dopo il conclave. Una Chiesa europea che si sente inadeguata al ruolo, eppure lo ha e continua ad averlo, anche se lo Spirito Santo ha fatto uscire dalla Cappella Sistina Papa Francesco. Perché «la giovinezza» delle Chiese africane e latinoamericane, dice l'arcivescovo di Milano, non basta.

Scola non si unisce al coro di gridolini acritici per tutto ciò che riguarda Papa Francesco, a partire dall'Argentina e dal Sud America, il continente da cui proviene il nuovo vescovo di Roma. «Io non sono di quelli che pensano che la grande giovinezza delle Chiese latinoamericane o delle Chiese africane basti. È necessaria ma non basta» le parole del cardinale alla presentazione del suo libro «Non dimentichiamoci di Dio», martedì scorso nell'affollatissimo Auditorium milanese di largo Mahler. C'è qualcosa che si chiama «complessità» di cui le Chiese quasi alla fine del mondo, le chiese del Sud America e dell'Africa, hanno ancora bisogno, e che può arrivare solo da questa Europa affaticata, dalla ragione nata dall'esperienza occidentale, dalla sua storia.

«C'è una complessità della realtà, che l'Europa si porta sulle spalle da tanti secoli che sembra esserne estenuata». La faticosa «complessità» dell'Europa è una ricchezza, come dimostra la progressiva conquista ancora in atto della libertà religiosa, il tema che è al centro della riflessione nel libro del cardinale. Tra l'editto di Costantino del 313 e oggi ci sono diciassette secoli di storia sofferta e appassionata, un lungo travaglio che ha coinvolto i più grandi pensatori cattolici, ha attraversato Crociate e guerre di religione, ha impegnato il magistero della Chiesa, dal Sillabo di Pio IX al «diritto alla libertà religiosa» del Concilio Vaticano II.

Non si tratta certamente di una critica a Papa Francesco, semmai di un arricchimento alla riflessione. La prima cura al disagio occidentale - continua la piccola confidenza» di Scola - l'ha trovata lo Spirito Santo, nel suo «gioco» che ha regalato alla società e alla Chiesa europea stanche proprio Francesco, come «grande fattore di speranza e di novità», come «un'attuazione di ciò che Benedetto XVI nella Spe Salvi aveva chiamato la necessità di una speranza affidabile, a cui ci si possa consegnare». Ma come dimostra la storia dell'Occidente, le vie sono sempre più complesse di quanto appaiano.

E

se Scola usa la parola «gioco» per parlare dell'intervento dello Spirito, è perché sembra davvero un gioco provvidenziale quello che ha «proprio girato la situazione». Un gioco in cui l'Europa ha ancora il suo bel ruolo.

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