Tra i «disturbatori» dei tg e i cronisti politici che, microfono alla mano, inseguono le dichiarazioni di Razzi e Scilipoti, la categoria che suscita più tenerezza è sicuramente la seconda. Ma in tempi di casta, tutto si è «castizzato». Compreso il clownesco mondo dei «destabilizzatori» telegiornaleschi: strani soggetti che vivono in funzione di un'inquadratura a favore di camera.
In principio fu Gabriele Paolini, pluriscalciato dal mitico Paolo Frajese che con quelle pedate indossò - tra l'applauso convinto dell'intera nazione - i panni del protovendicatore della stupidità catodica. Era il lontano 1993 e tutti ci illudemmo che con quella sacrosanta azione di forza, Frajese avrebbe messo fine alla ancora acerba carriera paolinesca. Invece il giovane Gabriele - e di ciò gli va dato atto - non si scoraggiò; anzi proseguì la sua presunta missione purificatrice anti Aids offrendo condom a destra e a manca: da Maria Teresa di Calcutta a Rocco Siffredi. Un presenzialismo dalle venature social che rappresenta il momento più «alto» dell'era-Paolini, depressa oggi da una deriva tutta giocata sulla risacca del porno-turpiloquio. Ultimo colpo cult degno di un Blob o di un Dagospia, lo scambio di battute in diretta con Emilio Fede: «Cornuto!», «Farabutto!». Da allora solo anni di querele, insignificanti come le comparsate tra un tg e l'altro. Qualche rimbrotto da parte Mentana, l'attacco isterico di una giornalista del Tg5 («Mi hai toccato il senooo!»), con Paolini pronto a ribattere: «Ma quale senooo... a me piacciono gli uominiii!». Ma Gabriele è agli sgoccioli, annuncia il suo ritiro dalle scene (ma poi ci ripensa, poi le riannuncia e poi ci ripensa...). Intanto presenta il suo erede: un ragazzino paffuto coi capelli rossi, tale Niki Giusino. Anche per la professione dell'«interruttore» valgono le regole della casta: niente meritocrazia, ma cessione del posto all'insegna del nepotismo. Ma Paolini rinnega l'abdicazione e sempre più stancamente prosegue nei suoi blitz, ormai parte integrante del panorama di piazza Montecitorio. Dove però - e questa volta sì con promozione conquistata sul campo - comincia a brillare la stella di Mauro Fortini. Mauro è il finto reporter perenne ripreso col taccuino in mano e la penna poggiata sulle labbra: simula di prendere appunti e porre domande. Buca lo schermo, sfoderando un'espressione vagamente ottusa che lo rende per questo indistinguibile dai veri colleghi che fanno massa per strappare una dichiarazione all'onorevole Crimi.
Fortini, in nome di una multimedialità d'antan, alterna il block notes a un piccolo registratore Philco, ovviamente senza batterie. A lui non interessano le parole dei politici attorno cui fanno capannello i cronisti doc, a Fortini interessa essere immortalato in quanto cronista taroc. Riflesso plastico - quella di Fortini - di un'informazione politica che gira a vuoto, autoreferenziale e per l'opinione pubblica con un tasso di interesse pari a zero. L'audience ha un picco solo quando da dietro le transenne spunta Annarella la «contestatrice», una ruspante vecchietta che offende in romanesco gli uomini (e le donne) del Palazzo. Gente di potere che, nonostante gli insulti ricevuti, si coccola l'Annarella, che pare la personificazione del ristorante La parolaccia, dove nel prezzo della cena è compreso anche un democratico e interclassista ma vattela a piglià in... E in questo teatrino ecco spuntare in bermuda fiorato e infradito il faccione lentigginoso di Niki Giusino, il figlioccio di Paolini.
In certe occasioni, alle spalle del ministro o del peones (o del ministro-peones), a contendersi l'inquadratura ci sono tutti e quattro: Paolini, Fortini, Giusino e Annarella. Lì, in piazza Montecitorio, per i giornalisti regolarmente iscritti all'Ordine non c'è più posto. E non è detto che si tratti di una brutta notizia.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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