di Una volta esportavamo il made in Italy. Oggi a fare il giro del mondo sono le inchieste delle nostre procure: la giustizia Spa. E fatalmente i nostri prodotti, un tempo pomposamente considerati i migliori ambasciatori, lasciano il passo. In vetrina e sul mappamondo della globalizzazione trovi ancora i vini, i mobili e il design, la moda, ma accanto a loro ecco farsi strada fascicoli e faldoni, ipotesi di corruzione nazionale e internazionale, trame da Spectre, i soliti sospetti di evasione fiscale. S'impantana l'economia, le città vanno in tilt, le commesse all'estero saltano o addirittura vengono revocate.
Pensiamo all'Ilva di Taranto, ormai avviluppata dentro la ragnatela di un'inchiesta monstre, come i palazzi impacchettati da Christo, con arresti, sequestri e dissequestri che si susseguono e in parte si smentiscono da mesi: l'acciaio, un tempo vanto tricolore, rischia di lasciare il passo all'archeologia industriale. Scenario simile, in un contesto diversissimo, per gli elicotteri gioiello dell'Agusta Westland: ora l'India, un Paese che conosce il diritto e pure il suo rovescio come insegna la vicenda dolorosa e grottesca dei marò, scopre le tangenti, pensate un po', grazie alla solerzia della nostra magistratura e dice stop ad un contratto importantissimo. Ci sarà un arbitrato internazionale, poi si vedrà. Figurarsi. Anche Finmeccanica viene colpita al cuore per l'uso disinvolto del denaro in un contesto, quello asiatico, in cui senza mazzette non si va da nessuna parte.
Intendiamoci: non vogliamo giustificare le ruberie e nemmeno buttare la croce addosso ai magistrati che perseguono i reati. Però altri paesi pagano tangenti smisurate per portare a casa contratti miliardari e dare ossigeno alle aziende frenate dalla crisi. Diciamo che altrove, non lontano da casa nostra, la ragione di Stato prevale senza se e senza ma su altre considerazioni e su altri principi, compreso quello di legalità. E se gli affari non arrivano ecco che la Francia, per non fare nomi, organizza una guerra, fa volare i suoi Mirage sulla Libia di Gheddafi, butta per aria in nome dei diritti umani un regime, si prende il petrolio, poi consegna tranquillamente la Libia ai terroristi più truci.
L'Europa, l'Europa che ancora non c'è, dovrebbe vigilare per mettere tutti i partner in condizioni di parità. Invece gli altri chiudono gli occhi e aprono i cordoni della borsa, l'Italia, che non è migliore ma avanza in ordine sparso e non ha alcuna idea degli interessi nazionali, si crocifigge da sola: ogni potere fa per sé e alla fine la magistratura si mette di traverso e blocca tutto. Con indagini che sono sempre lunghissime ma con incipit fulminanti: del resto la chimica dei Ferruzzi fu spazzata via in un battibaleno scomparendo nel cratere di Enimont e Raoul Gardini si sparò poche ore prima di essere interrogato da Di Pietro.
Ecco: quella storia a caratteri cubitali non ha insegnato nulla. Da vent'anni è tutto un susseguirsi di titoli che girano come le giostre dei luna park e lasciano a bocca aperta l'opinione pubblica, arresti clamorosi e avvisi di garanzia annunciati da squilli di tromba. E poi, lo sappiamo, a luccicare sono le intercettazioni che fanno parte del pacchetto e girano il mondo. Così la nostra credibilità finisce sotto i tacchi dopo che sotto i tacchi è già finito tutto quello che si poteva calpestare, dalla politica in giù. Esportiamo dal 1994 le indagini sul Cavaliere, fra i sorrisetti beffardi alla Sarkozy e il compiacimento morboso della stampa internazionale che non si lascia sfuggire il campionario unico al mondo di bellezze femminili svelate in udienze al kamasutra. Oggi ci flagelliamo al cospetto dell'India e ci autocondanniamo con severissime lezioni di etica giudiziaria. Tranquilli: non cambierà nulla.
Se solo qualcuno si azzarda a mettere in discussione quel tabù chiamato obbligatorietà dell'azione penale, ecco alzarsi il solito pianto greco delle toghe. Arrivederci al prossimo scandalo e alla prossima sconfitta del made in Italy.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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