Il Senatùr dice che non molla ma tratta la pensione

La resa èstata già definita. Il partito vuol lasciargli la sede di via Bellerio e altri immobili

Il Senatùr dice che non molla ma tratta la pensione

Bergamo - Quando Bobo sale sul palco per prende­re la parola, sale anche Umberto. Bobo scherza: «È venuto a suggerire», e Umberto si siede al tavolo dei relatori. È questa la rap­presentazione plastica del nuovo corso. In­sieme all’altra immagine, di Bossi che se ne sta seduto fuori in canottiera, fumando il suo sigaro lontano dai militanti e dai rifletto­ri, mentre dentro al PalaCreberg si contano i voti del primo congresso non più pilotato da lui. «Una volta potevano esserci pure dieci candidati già decisi, ma se arrivava Bossi e di­ceva che voleva l’undicesimo si obbediva» ricorda un deputato. Preistoria. Da oggi, la Lega da movimento sifapartito:non c’è più la parola del capo contro ogni regola, ci sono invece correnti e giochi di scambio sui voti, un tesoriere in cambio di un vicesegretario e via così con quell’esercizio in cui,ride un de­legato, «noi ci cimentiamo da neofiti, do­vremmo andare a suola dai democristiani». Non che non siano preoccupati, i le­ghisti. Perché controllare tutto è un bel caos, tan­to per dirne una, pri­ma che il congres­so abbia inizio gi­ra voce che i bre­sciani siano de­te­rminati a chie­dere le dimissio­ni di Roberto Calderoli, ed è una fatica con­vincerli a desi­stere. Ma c’è anche che da qui in poi, lo dice anche Matteo Salvini dal palco, «dovremo imparare a pensare, che è più difficile che obbedi­re ». E difficile sarà non poter più contare sul traino del Senatùr, che fino a ieri bastava da solo a portare voti. Bossi dal palco non dice che si fa da parte, an­zi. Di Maroni dice di ricordarselo «quan­do era piccolo così, si vede che l'ho cre­sciuto bene», come a indicare che qui uno solo ha la statura del Ca­po. Avverte che «qui nessuno va in pensione, io resto a lavorare». Poi indica ancora la via, l’eterna battaglia contro i «colonialisti» che occupano il Nord, «giorno verrà che i popoli padani si ribelle­ranno », e non importa «se ora per­diamo voti, quelli non sono indi­spensabili se il sogno va avanti », e po­co conta anche «se lo Stato ci manda i magistrati»,perché«noi non perderemo la voglia di indipendenza, non abbattete­vi per l’amor di Dio».

Già. Solo che intanto la Lega è già un’altra. Per dire:il figlio Renzo,Bossi l’ha dovuto la­sciare a casa, per evitargli fischi e attacchi. E anche quel Cesarino Monti che, voluto proprio dal Senatùr, ha messo la faccia e la passione nella sfida a Salvini, poi resta solo. Diceva un deputato prima del con­gresso: «Oggi si saprà che cosa ha deci­so di fare Bossi: se darà indicazione di votare Cesarino, vuol dire che spaccherà ancora. Se non lo fa, sarà il segna­le che si rassegna a fare il padre nobile». E Bossi non lo ha fatto: «Oggi ognuno vota co­me gli pare - ha detto dal palco - quello che importa è che chiunque vinca, poi la questio­ne è chiusa». Il fatto è che Bossi ha già tratta­to la resa.C’è un accordo con Maroni. Si era parlato di una copertura economica non per la sua odiata famiglia, ma per le sue spe­se mediche. Invece, svela un alto dirigente del partito, il Carroccio sta pensando di la­sciargli tutto il patrimonio immobiliare, dal fortino di via Bellerio alle altre sedi, «così for­se la signora Manuela si metterà l’anima in pace». Di più, il consiglio che in molti hanno dato al Senatùr è di studiare una exit stra­tegy : «Invece di ascoltare il suo avvocato, Matteo Brigandì, e chi continua a rassicurar­lo che non ci sono risvolti penali per lui, do­vrebbe trattare l’uscita, patteggiando inve­ce di andare a farsi massacrare al processo». Adesso, la Lega guarda avanti.

Il congresso di ieri è servito anche a stabilire i nuovi pesi: in vista del Federale, ma soprattutto per la nuova squadra che Bobo metterà in piedi su­bito dopo, pescando le professionalità migliori per competenze, ma anche per peso politico. La partita è aperta, le carte non le dà più Umberto.

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