Il senso della morte? Ce lo insegnano gli animali

«L'uccelletto cadrà morto di gelo giù dal ramo senza aver mai provato pena per se stesso», cosi recitava Herbert Lawrence in una sua famosa poesia.
La maggior parte degli etologi è convinta che a differenza degli umani, gli animali non abbiano coscienza del proprio destino di morte, consapevolezza che è invece da sempre la maggior angoscia dell'uomo.
Ma dove risiede la conoscenza della nostra mortalità?
La apprendiamo constatandola sui nostri simili o è in qualche misura insita nei circuiti della nostra mente?
In uno studio pubblicato sulla prestigiosa rivista americana Brain and Language, il professor Pietro Pietrini, neuropsichiatra all'Università di Pisa, e la sua equipe, usando la risonanza magnetica funzionale, ha dimostrato l'esistenza di un'area cerebrale coinvolta nel nostro senso di finitudine. «Abbiamo rilevato che esiste un'area, il giro temporale medio posteriore, che è selettiva, cioè si attiva maggiormente, per quei verbi che esprimono eventi che sussistono soltanto se hanno una dimensione spazio temporale, dei confini precisi come il nostro ciclo di vita», spiega il neuroscienziato. Azioni come arrivare o morire presuppongono il raggiungimento di un punto finale senza il quale l'evento non sussiste, camminare o parlare invece non hanno bisogno di un tempo determinato, non comportano un mutamento di stato definitivo del soggetto che compie l'azione. L'essere umano dimostra sin da piccolo di essere sensibile a questa distinzione.
«Si dicono telici i verbi che rappresentano eventi che sono in relazione con il mutamento di stato e atelici quelli che invece non lo presuppongono. I bambini di diverse nazionalità e quindi lingue apprendono per primi quei verbi che nel loro participio passato indicano lo stato dell'oggetto o del soggetto che abbia raggiunto il punto finale dell'evento. L'apprendimento del linguaggio e la sua organizzazione è pervasivamente influenzato dalla telicità», dice Domenica Romagno, ricercatrice al Dipartimento di Linguistica dell'Università Pisana. Saper distinguere tra un evento telico e un evento atelico significa saper dare i confini ad un evento. Essere consapevoli che la vita ha un inizio ed una fine.
Sulla coscienza di morte degli animali si è sempre dibattuto. Le mucche o i maiali al macello sembrano comprendere perfettamente il loro destino assumendo atteggiamenti che sono del tutto simili a quelli umani di autentica e profonda paura della morte. «È indubbio che percepiscano il pericolo imminente, probabilmente fiutano letteralmente i segnali di risposta terrifica emessa dai loro simili, l'odore del sangue e la presenza massiccia degli ormoni dello stress», risponde Pietrini.
Insomma la vera differenza sta nel fatto che l'uomo sa che la morte è una tappa biologica inevitabile mentre l'animale, che non deve confrontarsi tutta la vita con la paura che deriva da questa consapevolezza, la teme soltanto quando è di fronte ad un animale più forte di lui.
Un punto oscuro permane. Anche le mosche però usano comportamenti strategici per evitare la fine, e quindi, in qualche modo, sembrano essere al corrente della morte.

La velocità con cui fuggono di fronte al nostro tentativo di schiacciarle per liberarcene definitivamente è frutto di riflesso innato o sanno quello che fanno?
E alla luce di quanto detto possiamo ancora sostenere che sia una fortuna avere l'appannaggio esclusivo della coscienza?

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Pubblica un commento
Non sono consentiti commenti che contengano termini violenti, discriminatori o che contravvengano alle elementari regole di netiquette. Qui le norme di comportamento per esteso.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica