Si salvano gli enti culturali messi nel mirino come Arcus e il centro di cinematografiail provvedimento

RomaIncontenibili ed efficaci. I lobbysti italiani si stanno facendo strada e incassano risultati sempre più concreti. Mesi fa cercarono di arginarli, confinandoli in una stanza, lontani da senatori e deputati, ma con la spending review sono tornati a colpire, mettendo a segno - come rileva un dettagliato servizio dell'agenzia Ansa - diversi bei centri. Tanto per prevenire chi a questo punto avesse la tentazione di condannare l'americanizzazione della politica italiana, è bene precisare che le lobbies italian style non sono tanto quelle che difendono particolari settori produttivi privati. Ci sono anche quelle, ma prevalgono i gruppi di pressione organizzati che mirano a salvaguardare pezzi di amministrazione pubblica. Lottano per la sopravvivenza di enti, dotazioni organiche, possesso di immobili che potrebbero essere valorizzati e venduti a beneficio dell'abbattimento del debito e altro ancora.
La Lega Nord ha segnalato i 30 milioni spuntati per Roma Capitale. Per contro il Carroccio ha apprezzato le correzioni sulle Province, che danno più tempo agli enti intermedi oltre che la possibilità di mantenere alcune delle principali competenze. Modifica arrivata in commissione Bilancio del Senato che l'Unione delle province della Calabria ha salutato come un «positivo dietrofront» del governo. Nutritissimo il capitolo delle strutture culturali che si salvano. Come la soppressione di Arcus spa (valorizzazione dei Beni culturali) e di Fondazione valore Italia (promozione made in Italy) spostata in avanti. Proroghe che, come sanno bene i politici, possono valere la salvezza. Sicuramente salvi, sempre via emendamenti, il Centro sperimentale di cinematografia, la Cineteca nazionale e l'Istituto centrale per i beni sonori e audiovisivi.
Vive l'Odi, fondo per lo sviluppo dei comuni di confine con le province speciali di Trento e Bolzano. E strutture importanti come la Covip, autorità di vigilanza sui fondi pensione che doveva essere fusa con l'Isvap nella Banca d'italia. Niente più tagli agli enti di ricerca. Al riparo dai tagli l'Osservatorio per i minori e la Commissione per le pari opportunità e spuntano 5 milioni in favore di un neonato «Fondo nazionale per l'accoglienza dei minori stranieri non accompagnati».
La efficacissima attività di pressione degli enti locali ha quasi risolto il problema del trasporto pubblico locale, una delle voci di spesa principali delle autonomie che diventerà oggetto di un patto governo-Regioni, simile a quello per il servizio sanitario nazionale. È vero che ci saranno limiti, ma così le Regioni e i Comuni fanno a meno di doversene occupare da soli. Limature anche in provvedimenti annunciati con grande rilievo, come il passaggio dell'arsenale di Venezia al Comune. Salvo «le porzioni utilizzate dal ministero della Difesa per i suoi specifici compiti istituzionali», specifica un emendamento approvato in commissione.
Le lobby pubbliche, insomma, sono in grande spolvero anche nell'Italia del governo Monti. È andata molto peggio a presunti poteri forti, come quelli dell'industria dei farmaci che dovranno bypassare i medici e cercare di convincere direttamente i consumatori, visto che nelle ricette dovrà esserci scritto solo il principio attivo. Misura che farà risparmiare gli acquirenti, non il Servizio sanitario nazionale, ma che secondo Farmindustria danneggerà le aziende farmaceutiche.


A ben guardare, nemmeno i sindacati, tranne quelli del pubblico impiego, questa volta sembrano molto efficaci come lobby. L'ipotesi di salvaguardare altri 3mila esodati è tramontata. Sarebbe costato 30 milioni, quanto lo stanziamento per Roma capitale, ha osservato la Lega Nord.

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