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Si tagliano la paghetta. Ma solo dal 2017

L'abolizione di tutti i finanziamenti ai partiti scatta fra tre anni. Poi donazioni liberali e 2 per mille dell'Irpef

Si tagliano la paghetta. Ma solo dal 2017

Roma - Doveva essere un coniglio fuori dal cilindro per il «mago» Enrico Letta. In realtà, il decreto legge, varato ieri dal Consiglio dei ministri, che abolisce il finanziamento pubblico dei partiti rischia di lasciare aperti molti problemi che si volevano risolvere. Se da un punto di vista politico, tanto Forza Italia quanto il Pd a trazione renziana possono dirsi virtualmente soddisfatti perché hanno realizzato un punto programmatico, dal punto di vista pratico i cambiamenti reali potrebbero essere inferiori alle aspettative.

Vediamo perché. In primo luogo, l'eliminazione dei rimborsi elettorali sarà pienamente effettiva solo a partire dal 2017. Per i 91 milioni previsti annualmente ci sarà una decurtazione progressiva: del 25% l'anno prossimo (54,6 milioni), del 50% nel 2015 (45,5 milioni) e del 75% nel 2016 (36,4 milioni). Insomma, i finanziamenti pubblici sopravviveranno almeno per un triennio. Con buona pace di tutti i trionfalismi.

Nel frattempo scatteranno altri meccanismi attraverso i quali la politica potrà reperire risorse. Il principale saranno le detrazioni Irpef e Ires sui contributi ai partiti. Si tratta del 37% per i contributi tra 30 e 20mila euro e del 26% fino a 70mila euro. Si parte con un limite di 100mila euro nel 2014 per le aziende private. A regime sarà fissato un tetto di 200mila euro per le società e di 300mila euro per le persone fisiche. Una manovra chiaramente anti-berlusconiana che ha lo scopo di limitare le libere donazioni delle persone facoltose. Se le detrazioni Irpef valgono per tutti i partiti che abbiano concorso almeno alle elezioni per un consiglio regionale, coloro che riescono ad eleggere almeno un deputato, un senatore o un europarlamentare potranno accedere al 2 per mille sulla dichiarazione dei redditi di persone fisiche.

Una libera donazione volontaria come già ci hanno abituati l'8 per mille e il 5 per mille. Ma con una sostanziale differenza: questo dispositivo rischia di far lievitare consistentemente l'ammontare dei finanziamenti pubblici. «Pubblici» perché anche le detrazioni sono soldi cui lo Stato rinuncia in favore dei partiti. Secondo la relazione tecnica del ddl approvato dalla Camera a ottobre che il decreto ha recepito, detrazioni e 2 per mille a regime valgono 55,1 milioni, ma in realtà potrebbe essere molto di più. Sia perché individui e società possono scegliere di essere più «liberali» delle attese sia perché lo stesso 2 per mille che dovrebbe fungere da camera di compensazione (cioè se Irpef e Ires portano più risorse del previsto, l'assegno staccato sarà di minore entità) è già di per sé un meccanismo poco efficace perché se ne conosce l'entità solo nel settembre dell'anno successivo a quello in cui i contributi sono devoluti. Per spiegare ancora meglio: le donazioni effettuate nel 2014 saranno subito incassate dai partiti, ma il 2 per mille sarà noto solo nel 2015. A tutto questo si aggiunge lo sgravio del 75% fino a 750 euro per i corsi di formazione politica: un altro regalino.

In tutto questo, c'è il rischio che la minore liquidità derivante dalla fluttuazione dei contributi imponga dolorosi tagli al personale. Ad esempio, a fine 2012 il Pd contava circa 160 dipendenti a tempo indeterminato e il «vecchio» Pdl circa 130. Un emendamento approvato alla Camera al ddl ora trasformato in decreto prevedeva uno stanziamento di 15 milioni nel 2014 per agevolare la cassa integrazione di questi lavoratori.

«A noi dispiace molto che le persone possano essere lasciate a casa, ma l'abolizione del finanziamento pubblico è quello che ci ha chiesto la gente», ci ha spiegato Daniela Santanché (Forza Italia). E anche il tesoriere uscente del Pd, Antonio Misiani è soddisfatto perché «la politica ora cambia pelle». C'è un solo un ultimo «soldato fantasma» del vecchio regime dei contributi, il dalemiano Ugo Sposetti, l'uomo che salvò i Ds dal dissesto.

«Ora che il dl arriva al Senato mi farò sentire».

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