Il fatto è che a sinistra, soprattutto dalle parti del Pd, sono abituati troppo bene. Sono viziati, per dirla in gergo paternalista ma chiaro. Anni e anni di collateralismo musicale e di fiancheggiamento gorgheggiato li hanno abituati a un trattamento di riguardo. E tutto dovuto, come si direbbe continuando il medesimo predicozzo. Coccole di cantautori, effusioni di direttori d'orchestra, riverenze di artisti vari. Sempre unidirezionalmente e monoliticamente schierati. Canzoni e inni scritti appositamente per le convention e le campagne elettorali della formazione giusta.
Ecco, in una situazione così, un rocker che faccia il contropelo a Matteo Renzi non può che suonare come una nota stonata. Se poi lo fa dal palco del Concertone del Primo Maggio, simbolo acclarato di quel collateralismo canoro, allora diventa una stecca inascoltabile. Le orecchie delle vestali democratiche da prima fila non possono reggere certi stridori. E dunque, apriti cielo: com'è potuto accadere? Finché un cantante attaccava il solito Berlusconi, anche loro hanno un pensiero, e hanno diritto di opinione, e siamo in democrazia, e niente bavagli eccetera eccetera.
Ma se ora un altro cantante contesta il premier di sinistra nonchè segretario del Pd, questo no. È la rottura di un tabù. Il sovvertimento delle posizioni. Il rimescolamento delle carte. Così l'indignazione fa perdere la memoria, oltre che sciogliere il mascara...
Bisogna ammettere, tuttavia, che da Piazza San Giovanni Piero Pelù, ex front-man dei Litfiba, non era andato giù leggero: «Non vogliamo elemosine da 80 euro, vogliamo lavoro», aveva attaccato, leggendo da un foglio. «Il non eletto, ovvero sia il boy-scout di Licio Gelli deve capire che in Italia c'è un grande nemico, un nemico interno che si chiama disoccupazione, corruzione, voto di scambio, mafia, camorra, 'ndrangheta». E poi avanti con prevedibili ironie su Giovanardi, Dell'Utri... Immediatamente Grillo ha postato sul blog il testo del rocker, alimentando il fuoco della polemica. Ma qui non si tratta di schierarsi da una parte o dall'altra, o di condividere in toto o in parte il monologo di Pelù. Ci sono vecchie ruggini tra lui e l'ex sindaco che aveva interrotto la danarosa consulenza del cantante all'estate musicale fiorentina. A pensar male si fa peccato, ma spesso ci si prende: sarà mica che il veleno del «Diablo» (nomignolo affibbiatogli dopo il successo dell'omonimo disco) sgorghi da quella consulenza interrotta? Poco importa, in realtà.
La questione che qui diverte è lo stupore virginale delle miss renziane. I cantautori pensino a cantare, è il loro ritornello. «Sarebbe bene che comici e cantanti si occupassero del loro mestiere», ha alzato la voce già di prima mattina Alessandra Moretti, capolista Pd alle europee per il Nord-est, intervistata da Mattino Cinque, facendo venire il dubbio che quel «comici» si riferisse alle parodie crozziane del premier. «Quando la politica va veloce succede che il rock diventa lento», le ha subito fatto eco la collega della circoscrizione Sud, Pina Picierno. Il casus belli sono gli 80 euro definiti da Pelù un'elemosina elettorale. «Mi spiace che a dire no a questi 80 euro sia una persona fortunata e benestante grazie al suo talento. Ogni tanto però bisognerebbe uscire dai panni del rocker milionario e indossare quelli di chi vive con mille euro al mese», ha chiuso la Picierno. «Lo so che ci sono milioni di italiani che sopravvivono con stipendi o pensioni da vera fame, non volevo certo offendervi», è stata la replica di Pelù su Facebook. «A voi va tutto il mio rispetto e la mia solidarietà. È chiaro che 80 euro al mese aiutano un mensile che sta tra i 700-1200 euro, ma il problema di fondo rimane: dove sta il lavoro, quello a tempo indeterminato che ti garantirà stabilità e poi la tanto agognata pensione? Io parlo da persona libera da schemi di partiti e/o movimenti», ha continuato.
«La mossa degli 80 euro di Renzi è una gran trovata pre-elettorale: tutti bravi tutti buoni, ma solo in tempo di elezioni», ha concluso il suo contropelo Pelù.In futuro, difficilmente le sue canzoni verranno usate nelle convention democratiche per galvanizzare i militanti.
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