Roma - È un terreno costellato di trappole e polemiche, quello della riforma del finanziamento pubblico ai partiti. Un argomento che scatena la tempesta dell'antipolitica e che non è facile trattare su basi ragionevoli da parte di una eterogenea maggioranza di governo, stretta tra pressioni esterne, demagogia «pentastellata» e tentativi di limitare al massimo i margini di azione di Silvio Berlusconi.
La trattativa tra Pdl e Pd si muove così sul filo della rottura per tutta la giornata. Nel giorno in cui riprende la discussione nell'Aula della Camera il braccio di ferro va avanti per alcune ore. Alla fine l'intesa si ricompone nella riunione del comitato dei nove in cui viene formalizzato l'emendamento sul tetto alle donazioni dei privati ai partiti, il punto che più divideva il Pdl dal Pd. L'accordo prevede, salvo ripensamenti, una soglia massima di 300mila euro. Inizialmente il Pd non intendeva schiodarsi dalla soglia dei 100mila euro, cifra sulla quale sarebbe stato impossibile un accordo con il Pdl che spingeva per 500mila. Alla fine i margini sono diventati più elastici anche se il partito di Piazza San Lorenzo in Lucina continua a parlare di «clausola anti Berlusconi», intendendo che con questo limite si vuole impedire al fondatore di Forza Italia di finanziarla in piena libertà.
Il tetto dei 300mila euro entrerà in vigore in maniera progressiva: nel 2014 sarà fissato al 15% del bilancio dell'anno precedente di ciascun partito, nel 2015 al 10%, nel 2016 al 5%, mentre dal 2017 entrerà a regime il limite vero e proprio dei 300mila euro. Passa anche la previsione di un limite per le fideiussioni dei privati. A regime, si applicherà anche ad esse il tetto di 300 mila euro, con la previsione però che la fideiussione che superi quel limite, sconti la parte eccedente negli anni successivi (per fare un esempio, chi un anno effettua una fideiussione da 600 mila euro a un partito, l'anno successivo non potrà effettuarne un'altra).
Il finanziamento pubblico vero e proprio verrà cancellato in maniera progressiva, con un meccanismo di décalage che vedrà calare il contributo anno dopo anno al 70%, al 50%, al 25% fino ad essere definitivamente cancellato nel 2017. È stato, invece, accantonato il cosiddetto emendamento «salva Forza Italia», ovvero la misura che avrebbe consentito di creare una linea di continuità in caso di cambio di nome, sostituito da un emendamento «salva gruppi» che apre l'accesso ai finanziamenti da parte dei privati solo laddove si forma un gruppo autonomo, con 20 deputati o 10 senatori.
Questo nuovo schema dovrà adesso passare al vaglio della commissione Bilancio della Camera. A questo punto il voto finale potrebbe arrivare martedì. Il provvedimento, poi, si sposterà al Senato e qui, soprattutto alla luce dei malumori che circolano dentro il Pd, non è detto che esca «intatto». Nel partito di via del Nazareno in molti non vivono bene quello che giudicano come un cedimento alla demagogia, destinato a produrre costi sociali rilevanti «visto che da parte nostra dovremo mandare a casa tanti dipendenti». Perplessità presenti anche nel Pdl. «Il Pd ha disconosciuto il testo del governo che non prevedeva tetti.
Abbiamo dovuto mediare su questa presa di distanza del Pd dai suoi stessi ministri», spiega Francesco Paolo Sisto, presidente della commissione Affari costituzionali della Camera. «Il provvedimento è in linea con il nostro programma elettorale di abolizione del finanziamento pubblico ma si poteva fare di meglio».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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