«Cosa avranno detto ad Alessandro dopo che ce l'hanno strappato dalle braccia? Quella sera mi diceva papà ho paura, tremava e aveva la febbre». Ilario Butti, piange mentre racconta la storia del suo bambino avuto in affido a soli due mesi. Glielo hanno sequestrato dopo tre anni una sera qualsiasi, transennando la via con quattro pattuglie di vigili, perché il loro compito era terminato. Punto e stop. Non ci sono stati maltrattamenti né abusi, avevano finito il loro lavoro di genitori affidatari e non li hanno ritenuti adatti per l'adozione. Ilario e sua moglie non vogliono arrendersi a una decisione «strabica» e sono arrivati fino in Cassazione per far valere i loro diritti e quelli del piccolo Alessandro di cui non hanno più notizie da 15 lunghi mesi. Questa è una delle tante storie che stringono il cuore, protagoniste di certe procedure sterili applicate da assistenti sociali a volte troppo zelanti. Ne è consapevole Michela Vittoria Brambilla, presidente della Commissione bicamerale per l'Infanzia e l'adolescenza, che ha messo il dito in una piaga sociale da disinfettare.
L'allontanamento dei minori dalle famiglie d'origine è una pratica che sta registrando numeri in preoccupante aumento (ben 29.388 a fine 2011). Preoccupante anche il fenomeno degli affidamenti temporanei: +24% E il titolo della giornata di riflessione Affidamento temporaneo, abuso o tutela? la dice lunga sulle zone d'ombra che spesso avvolgono i criteri di accoglienza. Per questo Brambilla chiede la creazione di un Osservatorio nazionale proprio sulle case famiglia, che sia indipendente e dotato di poteri di intervento concreto che sia in grado «di dare risposte rapide e risolutive quando emergono carenze o abusi». L'Osservatorio dovrebbe anche fare un censimento delle strutture sparse sul territorio e vigilare sulla loro trasparenza. Ed è un dovere giuridico e morale, visto che strappare ai genitori un minore è sempre una sconfitta per lo Stato incapace di supportare famiglie in difficoltà. Come quella di Loredana, a cui hanno allontanato la figlia Valentina di otto anni.
«Siamo poveri, mio marito fa il taglialegna, io sono disoccupata e mia figlia faceva richieste che non riuscivamo a soddisfare. Così, per evitare di farla sentire diversa dai compagni, ho deciso di non mandarla a scuola - racconta la donna - Per 4 mesi me la sono tenuta a casa, ma nessun insegnante mi ha contattato per capire e darmi una mano. E io avevo troppa vergogna per andare a chiedere la carità». Loredana ha sbagliato, ora è pentita. Ma il troppo amore, il suo errore, sia pure imperdonabile, può consentire allo Stato di strappare una figlia dalla propria madre? Perché anziché mettere la bambina in un istituto per mesi e poi affidarla ad un'altra famiglia, non sono stati aiutati i genitori, con mezzi economici e psicologici? A chi fa comodo incrementare il mercato degli affidi e delle case famiglia?
E, per tornare al caso del piccolo Alessandro, perché non favorire una coppia che ha amato il bambino per tre anni anziché riaprire al piccolo la ferita di un abbandono e poi spostarlo come un pacco postale da un posto estraneo all'altro in attesa della famiglia perfetta? Ai coniugi Butti, non è mai stata dato un soldo per il sostegno del bambino (la legge prevede 400 euro al mese!). In tre anni di affido, l'assistente sociale si è fatta vedere tre volte.
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