Sorpresa: ora i giapponesi producono in ItaliaStabilimento in Toscana per le macchine movimento terra

Sorpresa: ora i giapponesi producono in ItaliaStabilimento in Toscana per le macchine movimento terra

Il Giappone delocalizza in Val d'Elsa. La prova che eiste un'Italia capace, nonostante tutto, di attirare gli investimenti stranieri si chiama Ihimer: la joint venture, frutto dell'alleanza tra l'azienda toscana Imer Group e la giapponese Ihi, un colosso che spazia dall'aeronautica alla meccanica.
Entro il 2014 la maggior parte della produzione di macchine movimento terra sarà trasferita a Cusona, nella zona di San Gimignano (Siena), con un investimento di 3,5 milioni: un colpo grosso, per un distretto storico, certo, dell'industria meccanica, ma penalizzato dalle dimensioni. E da lì mini escavatori e pale gommate si venderanno in tutto il mondo, come spiega orgogliosamente il vice presidente Paolo Venturi, che rappresenta l'«anima italiana» di Ihimer- quella giapponese è incarnata dal presidente, Tsutomu Kicuchi, alle spalle un'esperienza trentennale nel colosso Ihi - e che ha seguito il progetto fin dalle prime battute. «Il primo accordo risale al 1989, quando è iniziata la commercializzazione in Italia degli escavatori Ihi: nel '94 è arrivata la licenza di costruzione per produrre le macchine in Europa, e l'intesa si è poi consolidata dieci anni fa- racconta Venturi - Ora la nostra partnership ha un'ambizione globale, che noi sintetizziamo con la sigla 4G». Una lettera e un numero per riassumere un impegno a tutto campo, dove la parola chiave è «global». É su scala globale, infatti, che le due società, fianco a fianco, devono misurarsi in tutti i campi: a cominciare dall'approvvigionamento, attraverso un'analisi a 360 gradi per trovare il miglior compromesso tra qualità e prezzo. E naturalmente, ingenti investimenti in ricerca e sviluppo, che hanno permesso di accrescere la qualità e l'innovazione delle macchine, e una rete di distribuzione capillare.
L'obiettivo, rafforzarsi in Europa, che rappresenta una fetta importante del mercato: la strategia, spostare nel Vecchio Continente una quota della produzione, in modo da ridurre i costi e ammortizzare la differenza tra euro e yen. E la scelta è caduta sull'Italia. «Cusona è l'unica struttura produttiva non asiatica del gruppo - dice Venturi -, le altre sono in Cina e in Giappone: ma i cinesi comprano qui le macchine più piccole, quelle fino a 20 quintali, dove la differenza di costo è significativa. Produciamo anche modelli più grandi, che sono l'80% delle vendite in Europa, e dal prossimo anno completeremo la gamma con le pale gommate, tutto gestito direttamente a livello di progettazione, produzione e distribuzione. La sfida poi è di conquistare con la produzione italiana il mercato americano e il Nord Africa». Il che significa raddoppiare la produzione in tre anni, e assumere di conseguenza: attualmente lo stabilimento di San Gimignano impiega 56 dipendenti, entro il 2014 ne arriveranno altri quaranta. In tempi come questi, sono numeri di tutto rispetto: e spingono a chiedere con quale «arma segreta» l'azienda toscana abbia convinto i giapponesi, notoriamente restii a condividere il business, a investire in Italia. Venturi non ci pensa a lungo: «Affidabilità - è la sua risposta -. Abbiamo avuto vent'anni di lavoro fianco a fianco per convincerli definitivamente che il made in Italy non è solo genialità, come spesso si pensa all'estero, ma anche metodo. In un certo senso, siamo stati più convincenti del sistema Paese».
Perchè di sassolini da togliersi dalle scarpe, Venturi ne ha parecchi: «Qui siamo in Toscana, che non è certo l'ultima regione italiana a livello di strutture. Però la strada per arrivare allo stabilimento è tagliata da un passaggio a livello che obbliga ad attese infinite, l'aeroporto di Firenze sposta i voli in continuazione e per fare le videoconferenze devo usare Skype. Non si può pretendere che le aziende straniere vengano qui, creino posti di lavoro e in cambio non offrire niente, come fa lo Stato italiano.

Faccio un esempio: a suo tempo, in Turchia in sei mesi abbiamo messo in piedi uno stabilimento, permessi compresi, su un terreno messo a disposizione gratis dallo Stato. Mentre qui in Italia solo per partecipare a un bando la burocrazia assorbe le energie delle aziende per un mese».

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