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"Staccare la spina al governo". Sindaci Pd in pressing su Renzi

Gli elettori di centrosinistra vogliono chiudere l'esperienza dell'esecutivo. E i primi cittadini spingono alla rottura. Ma Renzi frena: "Prima la legge elettorale"

"Staccare la spina al governo". Sindaci Pd in pressing su Renzi

C'è un numero magico che in tanti ieri hanno ripetuto all'orecchio di Matteo Renzi: 78,3%. È la percentuale di italiani che sarebbero contenti se il Pd staccasse la spina al governo Letta, secondo il sondaggio del talk di Rai2 Virus. Praticamente un plebiscito.

Numeri che ritornano in tutti i rilevamenti di questi giorni: ieri il Corriere della Sera riportava i dati Swg, secondo cui la fiducia nel governo è ulteriormente calata al 20%. Mentre la fiducia in Renzi è al 44%. Numeri che parlano chiaro: se decidesse di far cadere un governo in crisi nera di credibilità, come in tanti tra i suoi gli suggeriscono, il sindaco di Firenze andrebbe incontro agli auspici della maggioranza dell'elettorato. Ma l'ala governativa dei renziani obietta: attenti, i sondaggi interni al nostro elettorato, quello di centrosinistra, sono diversi. Anche a loro il governo non piace e sono convinti che l'alleanza con Alfano sia nefasta, ma il salto verso il buio delle elezioni li spaventa. «Dopo lo choc di febbraio, quando si sono perse elezioni già vinte, gli elettori Pd hanno il terrore di essere condannati alla sconfitta», spiega un esponente Pd che maneggia i sondaggi riservati.

Il dilemma, in casa renziana, è profondo. E la carica di coloro che sono convinti che un altro anno di sostegno a questo governo finirebbe per logorare la carica innovativa del Pd renziano è in deciso aumento. «Il mezzo meno veloce per fare le riforme - spiega ad esempio al Foglio il sindaco di Bologna Virginio Merola - è ostinarsi a salvaguardare l'esistenza di questo governo. Non ci sono le condizioni per fare un patto di coalizione. L'unica cosa onesta da fare, invece di cincischiare, è impegnarsi a fare subito la legge elettorale e andare a votare il 25 maggio insieme alle Europee». Messaggio chiarissimo. Sulla stessa linea Michele Emiliano, sindaco di Bari: «Ho sempre sostenuto che dopo l'approvazione della legge elettorale bisognerebbe tornare alle urne, se fosse chiara l'impossibilità di approvare altre importanti riforme entro il 2015», dice a Repubblica. Enzo De Luca, primo cittadino di Salerno, è tranchant: l'operato del governo Letta è «disastroso, demenziale, indecente», e basta l'Imu a dimostrarlo: «Ad oggi nessuno è in grado di dire con certezza quante tasse si pagano sulle case: è vergognoso e indegno di un governo civile». Da Treviso, il sindaco Giovanni Manildo non è da meno: «La legge elettorale va fatta nel tempo più breve, poi si può andare al voto per portare quel cambio di marcia di cui ha bisogno l'Italia. Una maggioranza più chiara sarebbe un vantaggio per tutti».

E non è un caso che siano proprio i sindaci, più vicini al «territorio» e agli umori dell'elettorato, a mandare insistentemente a Renzi lo stesso messaggio. Eppure il segretario è costretto per ora a tirare il freno: «Se non portiamo a casa la legge elettorale, al voto non si può andare. E i tempi sono strettissimi: per votare con le Europee bisognerebbe sciogliere le Camere entro marzo», spiega un renziano di prima fascia. Letta e Alfano «giocheranno in tutti i modi per impedire di raggiungere il risultato prima di quella data». E poi resta la grande incognita: Giorgio Napolitano, finora nume tutelare del governo Letta e grande avversario del voto anticipato. Chi lo conosce bene sottolinea però che il presidente è «realista», e inizia anche lui a rendersi conto che la spinta propulsiva del «suo» governo si è ampiamente esaurita.

E fa notare il suo prolungato silenzio, dopo la figuraccia governativa sul Salva Roma: «Anche al Colle si sta cambiando verso».

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