Lo Stato paga puntuale solo i trombati

La pubblica amministrazione non ha soldi per pagare le aziende. Se si tratta, invece, di pagare liquidazioni e pensioni d'oro ai politici trombati alle elezioni, allora i problemi spariscono e i soldi si trovano subito. E a passare all'incasso sono ben 600 ex parlamentari che proprio in questi giorni stanno per ricevere l'accredito in banca della loro liquidazione. Che vuoi che sia, appena tre milioni di euro. Mentre è di oltre 70 miliardi di euro la somma che le piccole e medie imprese attendono invano da anni. Giorni fa la Cgia di Mestre ha calcolato che di questo passo (per ora ne sarebbero stati liquidati solo tre milioni) lo Stato ci metterebbe 1.900 anni per sanare tutti i suoi debiti nei confronti degli imprenditori strozzati.
È stato Avvenire a rivelare che i mandati di pagamento sono già sulla rampa di lancio. Mentre il Parlamento è fermo (anche se i neo parlamentari hanno già ricevuto il loro primo stipendio da 14mila euro) gli uffici contabili di Montecitorio e Palazzo Madama, invece, lavorano senza sosta per completare i calcoli di quanto spetta ai trombati dalla XVI legislatura. Somme che devono essere pagate, inderogabilmente, entro un mese dalla cessazione del mandato. La cifra è formata dalle trattenute che ogni parlamentare ha versato durante il suo mandato. Soldi, comunque, stanziati dal popolo italiano per creare un «assegno di reinserimento». Sì, perché la liquidazione venne pensata per permettere al parlamentare di tornare alla società civile dopo aver prestato la sua opera al servizio del suo Paese. Insomma, i parlamentari di lungo corso che lasciano, a fatica, la cadrega continuano a pesare sulle spalle degli italiani.
In cima alla lista della carica dei 600 trombati eccellenti poteva non esserci il più privilegiato di tutti? Sarà pure depresso, demotivato e inconsolabile, alla ricerca di un ufficio, gratis ovviamente, con un pc e una connessione per continuare a «fare qualcosa», ma il pensionato Gianfranco Fini, tra gli ex onorevoli, è certamente il più fortunato, in virtù dei suoi trent'anni di Parlamento. Montecitorio gli staccherà un «assegno di reinserimento» di 250mila euro netti e, avendo più di 60 anni, un vitalizio di 6.200 euro al mese. Non avrebbe, dunque, di che frignare se si considera che nei giorni scorsi ha preso possesso dell'ufficio che gli spetta di diritto - per 10 anni, con due collaboratori fissi - come past president di Montecitorio, a Palazzo Marini e che assumerà pure la presidenza della Fondazione della Camera. Ma si sa, «il potere logora chi non ce l'ha», e Fini logorato lo sembra essere parecchio. Nelle ultime settimane ha saltato tutti gli appuntamenti pubblici. Ha rifiutato gli inviti alle trasmissioni tv e radiofoniche e la sua scelta di farsi da parte è testimoniata anche dal suo silenzio sui social network.
Se Fini è senza dubbio il Paperone dei trombati sul podio accanto a lui spunta baffino, Massimo D'Alema che, eletto per la prima volta nel 1987 quando partiva la X legislatura, incasserà una liquidazione da 217mila euro. Stesso trattamento per Livia Turco (Pd) e Domenico Nania (Pdl). Ma non sono trascurabili neppure i gruzzoletti di Roberto Maroni (175mila euro), dell'ottantenne Franco Marini (Pd) 174mila euro, che potrà contare anche su una pensione da 5.300 euro al mese. E ancora: il Pdl Gianfranco Micciché se ne va con 158mila euro, 141mila euro al colonnello futurista Italo Bocchino, a Marcello dell'Utri e a Claudio Scajola, l'Udc Ferdinando Adornato con 112mila euro e 100mila euro a Francesco Rutelli, Pierluigi Castagnetti e Maurizio Paniz. Beppe Pisanu, che nel 1992 aveva già incassato una prima buonuscita, si porta a casa 157mila euro.

Una interruzione che investe anche Antonio Di Pietro e proprio per questo, dovrà accontentarsi di una liquidazione di soli 58mila euro netti: il primo assegno gli era già stato versato anni fa. E anche l'ex pm di «Mani pulite» potrà godere di una pensioncina da 4.300 euro al mese.
Nessuno ha chiesto di rinunciare ai suoi soldi o di darli in beneficenza. Trombati sì, ma mica scemi.

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