Per la prima volta Berlusconi ricostruisce quel drammatico mercoledì 2 ottobre quando Letta si presentò in Senato con, sulla carta, numeri ballerini. Il Cavaliere, agli europarlamentari ricevuti ieri a palazzo Grazioli, svela il retroscena e ammette che i ministri avevano già concordato con Letta che le loro dimissioni sarebbero state respinte. Il 28 settembre, infatti, era stato Berlusconi a chiedere ai ministri di dire addio a palazzo Chigi per non rendersi complici del ricatto sull'Iva. Da qui la sfida di Letta di cercare in Parlamento una maggioranza. Ma ecco la ricostruzione del Cav: «Sono stato indotto in errore dalle garanzie fornitemi dai ministri; avevano già rassegnato le dimissioni spiegandomi che non si poteva andare avanti; mi hanno detto sì, non ti preoccupare siamo con te, e poi, invece, hanno deciso di voler votare la fiducia». Accusa grave ai ministri, quella di Berlusconi che, tuttavia, non cita mai direttamente Alfano. Anzi, lo esclude dalla lista degli altri quattro perché «Alfano è stato il solo che potuto scegliere». Sottinteso: gli altri li ha scelti Letta.
Poi, ancora il ricordo del giorno della fiducia: «Sono andato in Aula, in Senato, e ho scoperto solo allora che c'era un documento pronto di 23 senatori disponibili ad andarsene». Una ribellione che lo ha quindi indotto a fare dietrofront perché il Cavaliere, irritato per non essere stato informato dai suoi sulla reale entità della spaccatura del suo Pdl, è stato in qualche modo costretto a optare per il sì alla fiducia, visto il rischio che di un governo ostile.
Berlusconi si sfoga davanti agli europarlamentari. Sfogo amaro contro la sinistra: «Altro che amnistia o indulto, dalla sinistra non mi aspetto niente. Pensavo che ci fosse una sensibilità da parte della sinistra e delle istituzioni. E invece... La sinistra doveva prendere atto dei rilievi giuridici non di parte invece, forzando la mano, in 15 giorni ha dato un chiaro segnale di voler decapitare il centrodestra italiano». Cita la pacificazione mancata e la sua responsabilità non ricambiata: «Non ho mai chiesto salvacondotti né soluzioni personali - dice il Cavaliere - per il governo noi abbiamo dato tutto e chiaramente, a fronte della nostra disponibilità, non abbiamo ricevuto nulla».
È quasi esasperato, il Cavaliere, quando parla dei giudici: «Mi hanno voluto ammazzare anche economicamente. Ho dovuto dare 500 milioni a De Benedetti, ma se il 51% delle azioni di Mondadori che possiedo valgono solo 162 milioni...», dice amaro. Quindi ricostruisce vent'anni di attacchi giudiziari e cita il presidente russo, Vladimir Putin: «Mi aveva avvertito che mi avrebbero fatto scontare tutto; che me l'avrebbero fatta pagare; che avrei fatto la fine dell'ex premier ucraina, Yulia Timoschenko. Aveva ragione lui. Vogliono farmi marcire in galera. E anche i miei avvocati dicono che il mio futuro è infausto». Riforma della giustizia non fatta per colpa sua? Il Cavaliere cita l'attenuante: «Fini, Casini e Follini si sono sempre opposti a una riforma della giustizia per avere loro uomini all'interno della magistratura».
Poi, un accenno al partito, lacerato: «Dobbiamo deporre le armi - avverte - Se ci dividiamo rischiamo di fare il gioco della sinistra. Dividersi non conviene a nessuno. I nostri nemici ci vogliono divisi e lo dimostrano i sondaggi. So che siamo divisi da governativi e lealisti - termini che non mi piacciono - e all'interno di ogni schieramento ci sono dei pasdaran, ma non possiamo spaccarci».
Qualche dubbio sulla richiesta di congresso, «vecchio rito della politica» ma «se dal partito arriva la richiesta di un confronto ampio, non lo impedirò». E poi la mission: «Mi piacerebbe che quando andate in tv parliate di Forza Italia».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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