Il caso Sallusti può arrivare in Europa

Si stringono i tempi per evitare il carcere all’ex direttore. Frattini: pronti a rivolgerci a Strasburgo. Reporter sans frontières: "No alla galera per i giornalisti"

Si stringono i tempi per evitare il carcere all'ex direttore del Giornale Alessandro Sallusti. L'arma segreta potrebbe essere l'Europa. Ed è l'ex ministro degli esteri Franco Frattini a indicare la strada. «La risposta alle anomalie dell'Itala esiste - spiega Frattini - è da cercare a Strasburgo. In questo senso la Corte europea dei diritti dell'uomo (Cedu) è uno strumento importante. Ed è proprio dalla stessa giurisprudenza della Corte che si evince che in alcuni casi simili alla vicenda Sallusti la stessa ha ritenuto che la libertà di espressione deve essere rispettata ». «Addirittura - osserva Frattini - c'è il caso dello studioso Claudio Riolo condannato per diffamazione nel 2008. Da Strasburgo arrivò all'epoca un'altra fondamentale sentenza che ha condannato lo Stato italiano a risarcire Riolo con 60 mila euro più le spese legali. Ecco perché Sallusti, supportato dalla Fnsi, deve presentare subito un ricorso presso la Cedu».

Tutti, intanto, concordano che la misura deve essere adeguata e tempestiva. Vannino Chiti e Maurizio Gasparri si augurano che il ddl che hanno presentato giovedì abbia una corsia preferenziale. Il punto qualificante del ddl è quello in cui si chiede di allineare il nostro Paese agli standard europei dove non è prevista pena detentiva ma solo pecuniaria per il reato di diffamazione a mezzo stampa. «La nostra iniziativa - spiega Gasparri - non contrasta con quella, eventuale, del governo attraverso un decreto. Anzi la sollecita e la rafforza. A tal fine mi auguro che siano tanti i senatori che vorranno sottoscriverlo». Dal canto suo il presidente del Senato Renato Schifani ha promesso che Palazzo Madama «adotterà tempi brucianti per l'approvazione dell'eventuale norma». In Parlamento, però, c'è già una proposta di legge che ha iniziato il suo iter. Si tratta del ddl firmato dai deputati Gaetano Pecorella ed Enrico Costa. E che mercoledì approderà in Commissione giustizia dove verrà letta la relazione introduttiva dei firmatari. «Si potrà procedere in tempi brevi - si augura Costa - e, con il consenso dei gruppi, adottare la sede legislativa. L'auspicio è che si possa individuare un testo snello che contemperi le esigenze di tutela dei diritti della personalità con quelle di garantire la libertà di espressione».

Il timore del presidente della Repubblica Napolitano e del Guardasigilli Paola Severino è, però, che i tempi obbligati dell'iter parlamentare non risolvino il problema immediato, vale a dire quello di evitare il carcere a Sallusti. Ecco perché presidente e ministro hanno discusso della possibilità di un decreto legge. Sono in molti ad auspicare che venga scelta questa soluzione. Anche tra gli esperti di diritto si accoglie con favore questa ipotesi. Un decreto che depenalizzi il reato di diffamazione imporrebbe ai magistrati giudicanti di simili casi l'ossequio dei commi 2 e 4 dell'articolo 2 del Codice penale che sancisce il principio del favor rei ovvero dell'applicazione automatica della pena più favorevole all'imputato.

«Effettivamente la pena è un po' eccessiva - commenta l'ex Procuratore della Repubblica di Napoli Giandomenico Lepore - ma la legge è questa. Ora tutti attaccano i magistrati che hanno applicato la norma, invece di prendersela con la politica che non l'ha cambiata». «Eravamo e restiamo contro il carcere e contro ogni forma di bavaglio - concorda Giuseppe Giulietti, oggi parlamentare ma con un passato di giornalista Rai -, ma sarebbe opportuno sanzionare il diffamatore con una “condanna ai lavori forzati della rettifica” e ripristino delle dignità lese». Sullo stesso registro la proposta del presidente della Federazione nazionale della stampa Roberto Natale. «Sallusti paghi anche duramente -spiega il sindacalista -. Ma il carcere no. Nei Paesi civili il carcere per i reati di parola non è ammesso». Natale poi ricorda che altri giornalisti rischiano il carcere.

Si tratta del direttore dell'Alto Adige, Tiziano Marzon e del cronista Orfeo Donatini condannati in primo grado a 4 mesi di carcere perché in un articolo di Donatini veniva riportata la presenza del consigliere provinciale Sven Knoll a un raduno neonazista.

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