Cronache

La strana lotteria dei fascicoli: a Milano stesso giudice per i boss

S'inceppa in tribunale il meccanismo della rotazione «per anzianità» e tutti i procedimenti contro due cosche di 'ndrangheta finiscono alla IV sezione. Ora i difensori si ribellano

Il presidente della Corte d’Appello di Milano, Giovanni Canzio
Il presidente della Corte d’Appello di Milano, Giovanni Canzio

Alla fine, diventa quasi un conoscente. Uno della «famiglia» (ma non in quel senso) anche se non dovrebbe affatto essere così. Perché, dice l'ordinamento, il giudice dev'essere terzo e indipendente. A Milano dieci imputati di 'ndrangheta condannati in primo grado hanno inscenato una protesta perché, gira e rigira, i processi sulla loro (presunta) «famiglia» (mafiosa), appunto, finiscono davanti allo stesso collegio giudicante. Ci sarebbe, in realtà, una regoletta tabellare – che vale ovunque e non solo a Milano – che servirebbe a evitare proprio casi del genere. Come? Applicando il principio della assegnazione a rotazione sulla base di alcuni parametri, tra cui data e ora in cui è pervenuto il procedimento in cancelleria. Si segue, insomma, il classico principio di «anzianità», con precedenza per i processi con detenuti. Questa storia dimostra però che non sempre il meccanismo funziona ed è affidabile. Perché tre processi d'appello al clan Valle-Lampada, figli della stessa inchiesta milanese, sono puntualmente approdati davanti alla IV sezione d'Appello. Alla terza «coincidenza», i legali Manlio Morcella e Renato Maturo hanno però fatto una piccola indagine e hanno scoperto che la regoletta tabellare non è che sia proprio ineccepibile. O meglio: la norma c'è ed è corretta, ma come spesso accade è l'applicazione pratica che crea qualche difficoltà. E questo perché in Corte d'appello, a Milano, non esisterebbe un protocollo di scarico cronologico dei procedimenti impugnati, e la data della registrazione informatica e quella manuale, sulla copertina del faldone, possono non corrispondere. Il fascicolo relativo a questi imputati è arrivato in Cancelleria il 4 febbraio 2013, è stato iscritto il 13 e assegnato il giorno dopo alla IV sezione. Sempre il 4 febbraio, è planato in Cancelleria un altro processo di mafia (istruito precedentemente a quello Valle-Lampada) iscritto l'11 e assegnato, sempre il 14 febbraio, ma alla II sezione. Seguendo il processo della rotazione e della «pervenienza», i Valle-Lampada avrebbero dovuto (visto che si tratta di un processo successivo, iscritto due giorni dopo il «gemello») trovarsi davanti alla III sezione e non alla IV. E non è questione di lana caprina, perché – partendo ovviamente dal presupposto della correttezza e della integrità delle toghe – non si può creare un giudice ad personam. Ne va del diritto dell'imputato di sentirsi garantito dall'autonomia del giudice e anche dalla vita stessa del procedimento, che potrebbe correre il rischio di essere annullato. Il collegio difensivo, composto dagli avvocati Ivano Chiesa, Oreste Dominioni, Manlio Morcella, Amedeo Rizza, Giuseppe Nardo e Lino Terranova, ha chiesto spiegazioni al magistrato responsabile delle assegnazioni e ha scoperto che il criterio della rotazione è in realtà vincolato ai tempi di «lavorazione del fascicolo» (visione del dossier, inserimento dei dati nei terminali da parte dell'operatore eccetera). I ritardi nelle operazioni, insomma, mandano in tilt le assegnazioni e i criteri di rotazione. Come accaduto, appunto, coi presunti 'ndranghetisti di Milano. Né vale il criterio, che pure esiste ma per altri casi, della specializzazione delle sezioni, perché per i reati di mafia non è previsto. Manca, insomma, un regolamento che disciplini il porto di mare della Cancelleria nel caso in cui arrivino due maxi-processi per mafia lo stesso giorno e che, soprattutto, dia la possibilità di controllarne i percorsi. Per questo, gli avvocati si sono rivolti al presidente della Corte di appello di Milano Giovanni Canzio per chiedere di trasferire il processo. Prima, ci avevano pure provato a segnalare al presidente della IV sezione il problema dell'assegnazione seriale. Un tema che non aveva fatto granché breccia, tant'è che il giudice Luigi Martino l'aveva rigettato incardinando il processo d'appello con un richiamo alla giurisprudenza della Corte di Cassazione. E dicendosi pronto a emettere la sentenza «già un minuto dopo l'inizio della prima udienza». Goccia che ha fatto traboccare il vaso, convincendo gli imputati – che parlano di «manomissione» del giudizio penale – a revocare i legali di fiducia e ad affidarsi ad avvocati d'ufficio. I quali, a loro volta, hanno chiesto e ottenuto dalla Corte i termini a difesa per studiare le carte. Nell'ultima udienza, lo scorso 13 giugno, il presidente della IV sezione ha respinto l'eccezione di nullità sul tabellare. Ma la battaglia dei legali continua.

Sempre davanti alla IV sezione.

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