Gli stregoni dell’euro: Grecia fuori, anzi no

Gli stregoni dell’euro: Grecia fuori, anzi no

Karel De Gucht, chi era costui? Fino a ieri soltanto il commissario europeo al Commercio, poco conosciuto al di fuori del Belgio da cui proviene. Ma da ieri si discute se sia un gaffeur professionale o (più realisticamente) uno che si è lasciato scappare una verità di troppo, meritandosi quell’appellativo di «stregone dell’euro» che lo mette in compagnia di altri personaggi che non tengono a freno la lingua. Come ad esempio l’ex presidente della Banca centrale europea (Bce) Jean-Claude Trichet, di cui diremo.
Ma andiamo con ordine. Ieri De Gucht, nel pieno della crisi greca e incurante degli sforzi fatti dai politici tedeschi e non solo per non dar l’impressione che il calcio nel sedere targato Ue ad Atene sia imminente, se ne è uscito con un’affermazione impegnativa: la Commissione europea e la Bce stanno lavorando a scenari di emergenza nel caso che la Grecia fallisca. Ha anche aggiunto che ciò non significherebbe la fine dell’eurozona, proprio perché c’è chi è all’opera per evitare effetti-domino che - ha ammesso - «fino a un anno e mezzo fa» avrebbero potuto verificarsi. Ma «la fine della partita è cominciata», chiude con una frase a effetto.
Insomma, un «ministro del governo dell’Ue» che dichiara alla stampa che Bruxelles e Francoforte, di comune accordo, stanno freddamente ragionando su come mandare avanti l’euro dopo essersi liberati del partner impoverito e inaffidabile. Apriti cielo. Passa meno di mezz’ora e la Commissione europea smentisce De Gucht. «Come ha più volte ripetuto il presidente Barroso - dice una imbarazzata portavoce - siamo impegnati per mantenere la Grecia nell’eurozona». Poco dopo il concetto viene ribadito dal collega di De Gucht Olli Rehn, titolare degli Affari economici, che precisa che il commissario belga «non è responsabile della materia su cui si è espresso»: avrebbe quindi parlato a vanvera. La Bce sceglie invece un più cauto «no comment».
Un mezzo giallo ha invece interessato la Cancelliera tedesca Angela Merkel, che in giornata aveva ribadito l’impegno della Germania per il mantenimento della Grecia nell’eurozona. Secondo le agenzie di stampa aveva proposto che il 17 giugno, insieme alle nuove elezioni politiche, i greci fossero anche chiamati a votare un referendum appunto sull’euro. Un’idea che era stata avanzata nell’ottobre scorso dall’allora premier greco George Papandreou: nell’occasione la Merkel e gli altri governi europei si erano opposti e Papandreou si era dovuto dimettere. Ma in serata a dissolvere l’imbarazzo è arrivata una smentita da Berlino: «La notizia è falsa». Un po’ «stregonesco» anche questo stile della comunicazione.
Tornando a De Gucht, tipico esempio di eurocrate eletto da nessuno indifferente al destino di popoli interi, che dire di Jean-Claude Trichet? Il predecessore di Mario Draghi alla guida della Bce, già insignito del Premio Carlo Magno per la promozione dell’Europa unita (che pochi giorni fa è andato al ministro delle Finanze tedesco Wolfgang Schäuble, e anche qui ci sarebbe qualche considerazione da fare) ha raccomandato ieri «per proteggere il resto dei Paesi interconnessi» dalle ricadute della crisi greca un «salto di qualità» nella governance europea: un bel commissariamento federale del governo nazionale del Paese che si dimostrasse inadempiente alle raccomandazioni di Bruxelles. Sovranità limitata, insomma, come ai «bei tempi» di un’altra Unione, quella sovietica, che la applicava ai suoi «fraterni» alleati dell’Europa Orientale, giungendo all’uso della forza militare con tanto di invasione e liquidazione della classe dirigente del Paese ribelle.
Le parole di Trichet (che ieri si è detto fiero dei successi dell’euro, pur ammettendo gli «enormi problemi» attuali) richiamano alla memoria le ammonizioni di Vladimir Bukovskij sulla natura antidemocratica dell’Unione Europea e su alcune sue sinistre somiglianze con quella sovietica. L’ex dissidente russo tende a drammatizzare, ma meravigliarsi delle proposte di chi vede nella perdita anche forzosa della sovranità nazionale degli Stati membri una passaggio necessario verso un’Unione che sia realmente tale pare davvero ingenuo.
Che poi tutto questo porti all’affermarsi nei Paesi in difficoltà di politici fortemente ostili a una certa idea di Europa è semplicemente logico. È il caso di Alexis Tsipras in Grecia. Il leader del partito di ultrasinistra Syriza, che i sondaggi danno in ascesa oltre il 23 per cento, ha già pronta la sua ricettina: se l’Ue taglierà i fondi ad Atene, i greci smetteranno di ripagare il debito.

Un bel ricatto, giustificato dal «chi la fa, l’aspetti». Ma se i sondaggi sono affidabili, Tsipras resterà all’opposizione: il 17 giugno conservatori e socialisti dovrebbero avere abbastanza voti da riuscire a formare un governo senza di lui.

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