Roma - «Sta rompendo i c...», «che mer...», «devi dirgli (a Bossi, ndr) che va mandato via», «la focaccia la porti solo quando cadrà la sua testa». Le sfuriate telefoniche di Belsito contro Castelli, controllore seccante dei suoi magheggi contabili, suonano come una medaglia per l’ex ministro di Lecco. Nel disastro generale della Lega-bancomat, Castelli è uno dei pochi che esce bene. «Io ho provato a chiedergli conto di quel che faceva, ma non ho trovato nessuna collaborazione».
Non la insospettì questa reticenza?
«Sì tant’è vero che mi definisce un “rompico...”, perché a partire dal 2011 gli ho chiesto la documentazione, ho la prova di tutto questo, lettere e mail, perché alla fine ci parlavamo così, questo per capire che rapporto c’era con Belsito».
A Bossi riferì di queste difficoltà?
«Certo, informai il segretario».
Ma lui lasciò Belsito al suo posto.
«Per tutti, anche per me, Belsito era un buon amministratore».
Anche dopo l’investimento di 6 milioni tra Tanzania e Cipro?
«Dopo quel pasticcio fu proprio Bossi a darci mandato, a me e a Stiffoni (l’altro del comitato amministrativo, ndr) di far tornare quei soldi, perché politicamente quell’operazione fu un errore. Ma Belsito non mi aiutò, perciò contattai Bonet (il trader dell’operazione a Cipro, ndr)».
A quel punto avevate abbastanza elementi per capire che Belsito stava facendo un gioco sporco.
«Io non potevo sapere se lo faceva per nascondere azioni delittuose o per un eccessivo senso di riservatezza».
Bossi lo difendeva per coprire la sua famiglia?
«Guardi se c’è una persona che al denaro non dà nessunissima importanza quello è Bossi. Per lui i soldi sono sempre stata la benzina da mettere nella macchina della Lega per fare politica, del resto non gli è mai importato nulla».
Però dei figli sì, magari quello lo ha fermato.
«Se vuole sapere il mio giudizio, se è successo veramente quello che leggiamo dalle carte, Bossi non sapeva nulla».
Ma se sono vere?
«La politica non si fa con i se. Ne abbiamo viste tante di inchieste partite col botto e finite nel nulla. Pensiamo alla moglie di Mastella, a Ottaviano Del Turco, Vittorio Emanuele».
Ma la Lega chiederebbe le dimissioni di Renzo Bossi dalla Regione e di Rosi Mauro dal Senato?
«Maroni ha detto che va fatta pulizia senza guardare in faccia a nessuno. Condivido pienamente. Ma vanno dimostrate. Lei ha notato che quando si tratta di politici la frase di rito è “spero che possa dimostrare la sua innocenza”? È un sovvertimento clamoroso del diritto, perché è l’accusa che deve provare la colpevolezza, mentre sono i politici a dovere dimostrare l’innocenza».
È un complotto?
«Calma, io non sono complottista, non dico che è un’azione politica».
Ma?
«Ma osservo molte cose strane in questa inchiesta».
Quali?
«È possibile che a febbraio, dopo la notizia della Tanzania, quando cioè si poteva facilmente immaginare che una qualche procura potesse interessarsi a noi, questi cantano l’Aida al telefono e raccontano per filo e per segno tutto? Qualche dubbio a me viene».
Cosa vuol dire, che sapendo di essere intercettati hanno inventato storie per inguaiare altri?
«Dico che questi o sono degli sprovveduti oppure l’hanno fatto apposta».
Lo vede che è complottista?
«Non è vero. Ma le dico anche un’altra cosa strana. Sembra che in via Bellerio, prima dell’arrivo dei carabinieri, ci fosse già una troupe della tv. Provate a verificarlo. Del resto sappiamo che alcuni pm amano essere al centro della scena».
Ce l’hanno con voi?
«Da sempre siamo odiati da tutti, se possono ci massacrano. Io lo dico sempre ai miei: per evitare di offrire al nemico una pistola carica dobbiamo essere inattaccabili, come la moglie di Cesare. Siamo stati come la moglie di Cesare?».
O più come la moglie di Bossi?
«Le accuse vanno provate, io non ho visto nessuna prova finora».
I pm parlano di soldi che andavano ai figli, alla moglie, al sindacato della Mauro.
«C’è un gran polverone dove tutto sembra delittuoso. Ma non ci vedo niente di strano se la Lega finanzia il sindacato padano o la scuola Bosina (della moglie di Bossi, ndr). Il partito sceglie di usare i suoi soldi come gli pare».
Le macchine dei figli, le lauree comprate all’estero?
«Ripeto: devono dimostrare queste accuse, di-mo-stra-re».
E Umberto Bossi?
«È l’unico leader di partito che di fronte ad uno scandalo di questo tipo si è dimesso. Non mi risulta che Bersani si sia dimesso per lo scandalo Penati, Rutelli per quello di Lusi o Fini per la casa di Montecarlo. Quando ce l’ha detto siamo rimasti di stucco, ma così ha salvato la Lega, era l’unico modo e lui l’ha capito prima di tutti».
Ma se emergeranno responsabilità di Bossi.
«La cosa diventerà pesante. Se invece finisce come le storie di Del Turco o Vittorio Emanuele non vedo perché non possa ricandidarsi alla segreteria federale. Lo vorrebbe tutto il popolo leghista».
Non è arrivata l’ora di Roberto Maroni?
«Il congresso è sovrano e deciderà. Per tutti noi, a cominciare da Maroni, Bossi non si è ritirato. Si è messo per il momento da parte».
Ai leghisti nei comizi ora che
gli raccontate?«Sono sconcertati, ma la loro fede è intatta».
Tra un mese si vota.
«Qualche contraccolpo ci potrà essere. Ma la padania è una grande idea, che va anche al di là della Lega».
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