RomaSettanta minuti faccia a faccia, un vertice improvviso incastrato a forza tra un'udienza al Quirinale con gli studenti di diritto e scienze politiche e una riunione di Monti a Palazzo Chigi (nel tondo con Giorgio Napolitano). Un colloquio talmente impellente da costringere il capo dello Stato a liquidare in fretta i suoi ospiti universitari: «Ho un incontro urgente con il presidente del Consiglio. Scusatemi, però l'accavallarsi della scadenze interne è imprevedibile». I due parlano del fallimento della Sicilia, della crisi, del vertice europeo di venerdì ma non dell'argomento che da qualche mese sul Colle provoca «amarezza e irritazione»: le telefonate di Nicola Mancino a Giorgio Napolitano, intercettate dalla procura di Palermo e pronte per essere diffuse. Solo un piccolo sfogo di Napolitano contro i «politici dilettanti» che lo attaccano, come Di Pietro.
Monti, come capo del governo, non ha titolo per intervenire non può fare lui una legge e non ha competenze sulla magistratura. E il capo dello Stato, sollevando il conflitto di poteri, ha già detto la sua nella maniera più formale possibile, portando la disputa con Messineo, Ingroia e soci alla Consulta. Eppure il caso non è chiuso. Lo dimostrano il livello delle polemiche, la violenza degli accuse di Grillo, di Pietro, Il Fatto, le proteste da Palermo dalla famiglia Borsellino, proprio alla vigilia del ventennale della strage di Via d'Amelio. «Napolitano ha fatto un intervento a gamba tesa», dice Salvatore, il fratello del giudice. E la sorella Rita: «È stata una pugnalata».
Parole che fanno male. Quelle di Di Pietro invece fanno solo rabbia. «Invece di mettere tutto a disposizione dei magistrati perchè dopo venti anni si possa sapere la verità sulla trattativa tra lo Stato e la mafia, il presidente non vuol far sapere che cosa è successo. Questa è arroganza istituzionale, vorrei sapere cos'ha da nascondere». Al leader dell'Idv replica via twitter il portavoce del Colle Pasquale Cascella: «Leggo gravi espressioni diffamatorie nei confronti di Napolitano alle quali il presidente purtroppo non può reagire».
Se potesse, le definirebbe forse accuse in malafede. Si lamenterebbe, probabilmente, perché la sua difesa delle prerogative del capo dello Stato stabilite dalla Costituzione, non essere intercettato nemmeno indirettamente, viene volutamente confusa con la storia del presunto negoziato con le cosche degli anni Novanta. Presentare le cose in questo modo, spiegano sul Colle, alludere a un interesse personale del presidente, significa intorpidire le acque. Invece, insistono, il capo dello Stato non ha proprio nulla da nascodere, il contenuto di quelle telefonate, come ha detto più volte lo stesso procuratore di Palermo Messineo, «è irrilevante». Se si è mosso, lo ha fatto per difendere l'istituzione e non creare un precedente.
Tutta l'amarezza e il senso di accerchiamento emergono nel saluto di Napolitano agli studenti accolti nella biblioteca del Quirinale. Poche frasi prima di congedarsi in fretta: «Il vostro dovrebbe essere il campo della formazione della classe dirigente politica.
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