Che gusto c'è ad aver ragione, se poi devi pagare per dimostrarlo? E nonostante tutto quest'ultimo balzello sulla sigaretta elettronica è la prova provata di quanto fossero fondate tante invettive lanciate dal pulpito del Giornale contro il proliferare delle imposte etiche. Questo Stato sempre più desideroso di adottarci come figli un po' fessi, bambinoni da tenere per mano in ogni scelta della vita, sta per regalarcene un'altra: la tassa sulle sigarette elettroniche, le cosiddette e-cigarette. Il dibattito su come mettere in pratica la nuova forma di imposizione fiscale è in corso, ma il finale sembra già scritto.
Bisogna solo decidere se trattarle alla stessa stregua delle sigarette normali, estendendo l'accisa sul tabacco, oppure ideare un'apposita tassa sui consumi. O infine inventarsi qualche altra forma di gabella ancor più contorta, come la tassa sui filtri «atomizzatori» che consentono di vaporizzare il liquido contenuto nelle ricariche delle e-cigarette.
Un pretesto buono lo si troverà, perché i burocrati del ministero delle Finanze non mollano: di fronte al calo di 200 milioni di euro delle entrate provenienti dalla tassazione delle bionde, c'è da mettere un tappo. E che importa se per farlo bisogna vibrare una mazzata su una delle poche attività commerciali che si vedono aprire ultimamente nelle strade delle nostre città. I negozi specializzati proliferano e chiaramente il mercato si occuperebbe comunque di regolare gli eccessi, una volta che il mercato smetterà di crescere così impetuosamente. Ma il legislatore a quanto pare vuole anticipare i tempi. Soprattutto se sceglierà la strada di tassare la nicotina contenuta nel liquido di ricarica: per turare la falla nelle vendite di sigarette (dovutà in realtà anche alla crisi, al contrabbando, al divieto di fumo nei locali pubblici) rischia di dover imporre un'aliquota davvero salata. E pazienza se nel frattempo si varano piani per finanziare l'apertura di nuove imprese giovani. E non lo è forse anche questa dell'e-cigarette? Tra l'altro dietro al fenomeno degli «svapatori», che vale già 250 milioni di euro, c'è proprio un gruppo di aziende giovani italiane che hanno registrato una decina di marchi di questo nuovo tipo di sigarette elettroniche. Così con una mano lo Stato finanzia l'imprenditoria, con l'altra si riprende tutto e la uccide.
Ma non è il paradosso più clamoroso dietro a questa nuova tassa. Il vero scandalo è che negli ultimi anni abbiamo sentito parlare (e a volte si sono anche tramutate in realtà) di ogni genere di imposta etica, balzelli che, per carità, il legislatore non avrebbe proprio voluto imporre ma si è trovato costretto a farlo per correggere i vizi di noi incorreggibili cittadini viziosi. Vedi la tassa sulle bibite gasate proposta dall'ex ministro Balduzzi. Sono così piene di zuccheri che un prelievo di 3 centesimi a lattina (sic) doveva dissuaderci dal sgargarozzare troppe bollicine e salvarci da sicuro diabete. E poi le imposte sui cibi grassi, che in qualche paese sono diventate realtà, unico argine contro l'occlusione delle nostre arterie. E guai a parlare di ridurre le accise sulla benzina: c'è sempre qualcuno pronto a urlare che così si incentivano gli inquinatori.
L'esperienza, vedi la tassa sul burro in Danimarca, ha dimostrato che le tasse non ottengono lo scopo salutista. E allora perché perseverare? Il caso delle e-cig svela l'inganno.
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