«Un'enorme operazione pubblicitaria», «una pioggia di soldi caduta su un terreno arido». Michele Tiraboschi, giuslavorista, direttore del Centro Studi «Marco Biagi» dell'Università di Modena, non usa mezzi termini: la Garanzia Giovani è già fallita.
Professore, i primi numeri non delineano una situazione positiva. Che cosa non funziona?
«Il sistema è partito male: una massa enorme di gente davanti a una porta strettissima. È chiaro che molti di questi giovani non riceveranno risposta, e ciò creerà ancora più sfiducia, più disaffezione verso lo Stato».
In concreto quali errori ravvisa nel meccanismo?
«Ci sono tre aspetti problematici. Il primo è istituzionale: la materia è di competenza delle Regioni, il che comporta che non ci sia un'unica azione, ma 20 diverse. Poi uno politico: il piano era gestito dall'ex ministro Giovannini, il cambio di governo ha comportato anche un cambio di direzione tecnica e squadra; è come sostituire il pilota subito prima dell'inizio di una gara. Infine l'aspetto culturale: si è scelto di affidarsi ai centri per l'impiego pubblici, che intercettano meno del 3% della domanda di lavoro, invece che alle agenzie private, che hanno un vero rapporto con le aziende. E servivano intese con le associazioni datoriali, in grado di fare da collegamento con le aziende».
La scarsa efficienza dei centri pubblici per l'impiego però è nota...
«Da anni l'Europa ci chiede riforme. Alcuni tentativi sono stati boicottati da una visione ideologica, statalista».
Il bonus giovani del governo Letta doveva far assumere 100mila persone. Sono state solo 22mila.
«In quel caso c'era un bonus di 650 euro per chi assumeva a tempo indeterminato: evidentemente le aziende non considerarono l'incentivo sufficiente rispetto al rischio di una nuova assunzione. Qui il pericolo è maggiore: stiamo creando aspettative che saranno tradite. E trattiamo i fondi europei come un peso, non come occasione».
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