Bruxelles ha severamente criticato il governo Letta perché non ha fatto la riforma del mercato del lavoro, non ha adottato misure strutturali per rafforzare il sistema bancario, ha dato luogo a un rapporto troppo elevato del debito sul Pil e non ha adottato politiche finanziarie pro crescita. Ma lo spread dei titoli italiani su quelli tedeschi è ancor migliorato, sotto i 200 punti (attorno a 170) anziché peggiorare, perché i mercati danno una apertura di credito a Renzi, mentre la Commissione di Bruxelles lo sprona con le ramanzine al passato governo. Renzi ha l'apertura di credito perché non è un ex comunista o un ex Dc simpatizzante per gli ex comunisti. E perché, dato ciò, non demonizza il centrodestra di Berlusconi, ma vi si accorda per una legge elettorale che elimini i bizantinismi dei piccoli partiti e aumenti la governabilità, sia con un governo di monocolore sia con una coalizione di due grandi partiti, come in Germania, anziché con la macedonia della Seconda Repubblica. Ma Renzi, per tenere fede al programma di risanamento, basato sulla crescita sostenibile, cioè con mercato efficiente, conti in ordine, debito in diminuzione e settore pubblica smagrito e più efficiente, ha molti ostacoli. Alcuni, li ha nel suo programma, che in parte contrasta con le raccomandazioni europee ed è azzardato. I peggiori ostacoli li ha nel suo partito, nei gruppi di potere che condizionano il Pd e in quelli che hanno favorito la sua ascesa al comando. Ha come supporto l'apertura di credito dei mercati e di Forza Italia, ovvero dei moderati. Ma sino a quando? Il primo ostacolo casalingo è la Cgil di Camusso e la Fiom di Landini. Camusso vorrebbe che la riduzione di tributi chiamata «taglio del cuneo fiscale sul costo del lavoro» vada in buona parte a ridurre l'Irpef sui bassi redditi di lavoro, mentre per ottenere un effetto rilevante con gli 8-10 miliardi che si possono (forse) raggranellare, bisogna ridurre l'Irap sui costi del lavoro e sui compensi per la produttività nei contratti aziendali. Come dice il Ministro Padoan, dividendo la cifra a disposizione, non c'è massa critica, non si accende la crescita. E riducendo le tasse sui bassi redditi di lavoro, anziché l'Irap rimane intatto questo cuneo fiscale che danneggia le imprese a più alta intensità di lavoro e induce a portare all'estero i servizi direzionali e di ricerca e sviluppo, tipicamente fatti di lavoro qualificato. Confindustria chiede invece che la somma per il cuneo fiscale vada tutta all'Irap. C'è poi l'ostacolo delle banche e della Confindustria, associate (le banche sono anche in Confindustria) che vorrebbero il mega sblocco dei crediti delle imprese con la Pubblica amministrazione tramite garanzie statali, attraverso la Cassa depositi e prestiti, con aggravio del rapporto debito pubblico-Pil. Ma Bruxelles chiede, al riguardo, inversione di tendenza. Renzi ha promesso di risolvere il rebus. Ma come? Sorgenia (gruppo De Benedetti, cui fa capo Repubblica) vorrebbe essere salvata con un intervento bancario, che rischia di far saltare il Monte dei Paschi (feudo Pd), già in crisi. Vari Comuni reclamano sanatorie dei loro conti a spese dello Stato, mentre Renzi ha promesso che li aiuta con prestiti in cambio di rigore. I soldi per il cuneo fiscale si devono trovare con il taglio delle spese, e qui strillano industriali, agricoltori, sindacati, Regioni e Province (da chiudere) e Comuni. Infine c'è la cosa più importante: la riforma del mercato del lavoro per dargli flessibilità. Servirebbe la cura Marchionne e il ripristino della legge Biagi, soluzioni del centrodestra.
Il Jobs Act di Renzi non contempla i contratti Marchionne e include un diritto a licenziare variamente ampio e l'eliminazione della cassa integrazione per finanziare una indennità di licenziamento congrua. Ciò è osteggiato da Cgil e da Fiom. E non risolve il problema della produttività. La sponda di Renzi sta più a destra, che a sinistra. Più fuori che dentro la sua coalizione. La sua è una Olimpiade politica.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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