Urlano per Tortora, tacciono sulle botte

Al Pdl è stato contestato il diritto stesso di manifestare "contro la magistratura". Ma Berlusconi non ha mai paragonato la sua odissea giudiziaria a quella di Tortora

Urlano per Tortora, tacciono sulle botte

Che Berlusconi e il suo Pdl non godano di buona stampa, non è certo una notizia: gran parte di chi lavora nei media ha mutuato dalla sinistra una sorta di senso di superiorità, che a volte sconfina nel disprezzo, verso l'homo novus che da vent'anni sovverte sistematicamente il galateo e non perde occasione per mostrare un'estraneità quasi civettuola ai riti e ai miti del dibattito politico tradizionale. Sta probabilmente in questa incapacità cognitiva la ragione del costante successo elettorale del Cavaliere: è impossibile sconfiggere un avversario che ci si rifiuta di comprendere.

Ma ciò che è successo a Brescia sabato, e ieri sui giornali, merita una riflessione particolare. A Berlusconi e al Pdl è stato infatti contestato il diritto stesso di manifestare «contro la magistratura»; il reato di lesa maestà sarebbe tanto più grave, in quanto a Brescia erano presenti anche alcuni ministri, a cominciare dal vicepresidente del Consiglio e ministro dell'Interno Angelino Alfano. Si tratta tuttavia di una menzogna, o almeno di una non verità: e spiace che quasi tutti i giornali ieri l'abbiano invece ripetuta.

A Brescia fra due settimane si vota, e sul palco da cui ha parlato Berlusconi non c'era scritto «I giudici puzzano» ma, più prosaicamente, «Per Paroli sindaco». È certamente vero che il Cavaliere ha usato parole molto dure contro inchieste e sentenze che considera infondate, infarcite di pregiudizi e mosse da avversione politica. La verità è che dipingere Berlusconi a tinte fosche risponde ad un disegno politico, caro in particolare al partito di Repubblica e a quel mondo politico e culturale che lavora per lo scioglimento del Pd nel Movimento 5 stelle e per la scomparsa della sinistra e della sua autonomia dal panorama politico.

Dopo aver mostrato un Berlusconi eversore, è certo più facile chiedere al Pd di rompere subito ogni alleanza, e poi denunciarlo per alto tradimento - o addirittura per «correità», come ha detto Rosy Bindi - se non si separa all'istante dal Caimano. Il pericolo maggiore per Letta viene proprio dalla caricatura feroce che ne viene fatta. Anche il riferimento a Enzo Tortora è stato travisato e, senza reale fondamento, condannato con sdegno.

È vero che i giornali per necessità semplificano, soprattutto nei titoli, ma è altrettanto vero che Berlusconi non ha paragonato la sua odissea giudiziaria a quella di Tortora, né se stesso al più amato e al più sfortunato dei presentatori. «Ho visto le immagini di Tortora - queste le parole del Cavaliere nel resoconto del Corriere della sera - quando diceva ai suoi giudici: “Io sono innocente e spero dal profondo del mio cuore che lo siate anche voi”. È questo il sentimento di tantissimi italiani che ogni giorno entrano nel tritacarne infernale della giustizia». Riletta con serenità, è una frase persino banale. E se è del tutto comprensibile la richiesta delle figlie di Tortora perché non venga usato in alcun modo il nome del padre, molto meno comprensibile, e anzi un po' indisponente, è l'indignazione dei commentatori. L'aspetto più grave della manipolazione politico-mediatica del comizio di Brescia riguarda i fatti che si sono consumati a pochi metri dal palco.

Diversi militanti del Pdl sono stati aggrediti e pestati, alcuni feriti in modo per fortuna lieve: eppure di questo, sulle prime pagine e nei commenti serali rilasciati ai Tg, non c'era traccia. Contestare Berlusconi è un diritto, tanto quanto Berlusconi ha il diritto di contestare i magistrati: ma la violenza fisica, in qualsiasi forma si manifesti e per qualsiasi scopo, non può essere tollerata. Perché, com'è ovvio, è un reato. Ma anche perché - e questo la sinistra dovrebbe saperlo meglio di altri - soltanto isolando, arrestando e condannando i violenti si garantisce il diritto di tutti a manifestare liberamente il proprio dissenso. Di «compagni che sbagliano» trattati con indulgenza dai giornali e dai salotti l'Italia della crisi proprio non ha bisogno.

Ha bisogno invece di un governo che lavori serenamente, nel rispetto di tutti coloro che ne fanno parte, e possibilmente colga dei risultati. Per litigare, se proprio non se ne può fare a meno, si troverà sempre il tempo.

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