Veltroni: Pd solo (anche con Di Pietro)

Che peccato. Dopo la smagliante ed energica performance di Berlusconi da Vespa che ha detto di no a tutti coloro che volevano aggregarsi al Popolo della Libertà con il vecchio sistema partitico dell’alleanza, speravamo francamente che dall’altra parte anche il (poco) prode Veltroni riuscisse a reggere. Invece, ha sbracato. E con chi ha sbracato? Con Di Pietro il quale correrà con il suo simbolo autonomo ma “apparentato” con il Partito democratico, e che rappresenta la cupa ala giustizialista, la voglia di forca, il peggio del peggio dell’antipolitica già morta e da seppellire. Peggio: Di Pietro ha tentato di imbarcare anche Marco Travaglio (un coraggioso che abbiamo sfidato pubblicamente a un confronto e che ancora scappa) e si è fatto dire di no. Che figura miserabile.

Ci aspettavamo insomma che, non foss’altro che per spirito di emulazione, Veltroni sapesse tener duro come Berlusconi che ha detto di no a Casini, a Storace e persino a Ferrara, mentre lui non è stato in grado di farlo con l’uomo che riuscì ad affondare tutti i partiti democratici della prima Repubblica ma senza scalfire il Pci. Fantastico. Una curiosità: ma Veltroni non ha fra i suoi uomini il nostro vecchio amico Enzo Carra, l’uomo che durante Mani Pulite fu trascinato in catene davanti alle telecamere? Che meraviglioso partito: Caino ma anche Abele, il gatto ma anche la volpe, il lupo ma anche l’agnello. Così Veltroni evidentemente vede il nuovo, lui che si è preso sulle spalle l’immane compito di costruire una sinistra democratica occidentale che ancora non esiste? E per riuscire in una tale impresa a chi è andato invece a dire di no? Ai socialisti di Boselli e di Bobo Craxi i quali, quanto a genoma democratico stanno alcuni chilometri più in alto di lui, che per rimediare alle misere origini comuniste è costretto a travestirsi ora da Kennedy e ora da Obama.

Veltroni ha anche sbattuto la porta in faccia ai radicali di Marco Pannella ed Emma Bonino, altra stirpe politica di cui e su cui si può discutere, ma che potrebbero impartire a Uolter e ai suoi alcune lezioni sui fondamenti della democrazia liberale. Insomma, una delusione ma – peggio ancora – un tragico errore. Noi, che facciamo parte dell’altra squadra, dovremmo gioire di tali errori perché faranno perdere altro consenso al partito che già nasce con la palla al piede di un presidente che si chiama Romano Prodi detto «con me e dopo di me il nulla». Ma non è così.

Questa partita va giocata nell’interesse dell’Italia prima ancora delle parti politiche: Berlusconi ha fatto una figura trionfale in televisione perché dimostra di voler realizzare il suo progetto con una forza di carattere e una chiarezza uniche: sostituire il bipolarismo con il bipartitismo per mettere fine al massacro dei veti incrociati nelle coalizioni che rendono il Paese ingovernabile. Questa grande operazione di restyling della politica l’ha varata quando ancora Veltroni annaspava alla ricerca di una identità che ancora oggi non riesce non solo a trovare, ma neanche a cercare. Così, siamo di fronte a questo paradosso macabro: il Partito della Libertà raccoglie un popolo già omogeneo da anni, mentre il Partito Democratico raccoglie elementi di divisione e di odio.

Inoltre, se Berlusconi mette la barra sul futuro senza guardare in faccia neanche gli amici, Veltroni arruola come un signore della guerra il torturatore della Prima Repubblica e che incarna quel giustizialismo che ormai massacra anche la sinistra.

Certo, peggio per lui. Ma peggio anche per l’Italia che non ha una sinistra decente e democratica, ma soltanto giustizialismo e rancori brucianti.

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