La vendetta del cinghiale: "La Bindi deve dimettersi"

I senatori calabresi Ncd attaccano la presidente Pd dell'Antimafia: "Pressioni per non far votare a Reggio"

La vendetta del cinghiale: "La Bindi deve dimettersi"

Cosenza - È ancora la Calabria a piantar grane al governo Renzi. L'epicentro dell'ennesima scossa tellurica che fa ballare l'esecutivo è sempre il Nuovo centrodestra: alfaniano l'ex sottosegretario Tonino Gentile, costretto alle dimissioni dalla telefonata con cui Umberto De Rose, presidente di Fincalabra (finanziaria controllata dalla Regione), nella sua veste di tipografo sollecitava l'editore dell'Ora di Calabria a togliere dalle pagine la notizia relativa ad un'inchiesta sul figlio del senatore, ricordando: «Quando il cinghiale è ferito ammazza tutti».
Ma alfaniani di Calabria sono pure i senatori Nino D'Ascola, Antonio Caridi e Giovanni Bilardi (braccio senatoriale del governatore calabrese Peppe Scopelliti), che domenica hanno annunciato un'interrogazione sul prolungamento del commissariamento del Comune di Reggio Calabria. E già che c'erano, hanno chiesto le dimissioni dalla presidenza della Commissione antimafia di Rosy Bindi. Era stata proprio lei, nei giorni dell'Oragate, a piazzare il gancio che aveva mandato al tappeto Alfano e compagni, infilandosi nella loro guardia con interviste nelle quali sosteneva che «il sottosegretario Gentile non può rimanere al suo posto: quella sua intercettazione è inquietante e apre una pista di ricerca molto importante per la Commissione, cioè l'intreccio tra poteri mafiosi e comunicazione». Ed è lei, una settimana dopo, a finire nel mirino. Inevitabile l'accostamento al caso Gentile, col pensiero che corre ad una nuova battuta di caccia in cui prede e cacciatori si confondono, rendendo concreto il rischio che il fuoco amico attinga anche il premier. La proroga del commissariamento del municipio reggino, decisa dal Consiglio dei ministri, viene letta dai tre senatori del Ncd come il frutto «di forti pressioni esercitate da alcuni esponenti del Partito democratico, tra cui l'onorevole Bindi. Intuitivamente rivolte allo scopo di partito di potere usufruire di un più ampio arco temporale nel quale individuare un serio e credibile candidato del Pd al ruolo di sindaco». Il tutto «attuando un condizionamento delle scelte del ministro dell'Interno, utilizzando il ruolo istituzionale di presidente della Commissione antimafia». Segue richiesta di «dimissioni dell'onorevole Bindi da presidente della Commissione».
I democratici calabri hanno subito risposto con le schioppettate del loro segretario, il deputato di osservanza renziana Ernesto Magorno: «Gli esponenti del Ncd, forse appassionati di fiction televisiva e letteraria, hanno elaborato una trama degna della migliore fantapolitica. Credo che per il lavoro puntuale, appassionato e incisivo che sta svolgendo nel suo ruolo, vada espressa gratitudine all'onorevole Bindi».

La quale, dal canto suo, non si scompone: «Non meritano risposta», fa sapere. Chissà, però, se adesso andrà avanti lungo la strada annunciata: portare in Commissione la telefonata del cinghiale assassino.
Renzi guarda, aspetta. E trema.

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