Le vittime del nuovo terremoto

Le vittime del nuovo terremoto

L’ingegnere, gli operai, il prete. Gli imprenditori. Le formiche del biomedicale che le stavano provando tutte per far ripartire le loro aziende. Sono morti senza arrendersi: portavano via le macerie del terremoto precedente e il drago maligno li ha sorpresi. Gianni Bignardi, 62 anni, da giorni era in giro in questo fazzoletto di terra martoriata: controlli, verifiche, perizie volanti. L’elmetto in testa, come un soldato. Una corsa contro il tempo perché gli uomini da queste parti non vogliono rimanere con le mani in mano. Check up gratuiti degli stabilimenti, con orari massacranti: lui, il figlio, pure ingegnere, tanti altri tecnici, geometri, architetti, pure prestati all’emergenza. Una sfida alla natura che Bignardi aveva accettato come si corre il rischio di un pallottola in guerra. E in una drammatica intervista aveva descritto quel proiettile, in agguato: «I capannoni sono un problema - aveva spiegato a Jacopo Della Porta di ModenaQui - se si spostano le travi può crollare tutto». Previsione purtroppo azzeccata. Come una profezia nera. Ieri mattina era alla Meta di San Felice sul Panaro, una reputazione da difendere nelle macchine di precisione. È venuto giù tutto. Sono morti in tre. Con lui due operai, due formiche di un’economia sempre più multietnica che provava a rialzare la testa.
Sotto i calcinacci sono rimasti un marocchino e un indiano, Kumar, 27 anni, originario del Punjab. Pochi minuti dopo i suoi compagni sikh si sono ritrovati davanti ai cancelli della Meta per pregare. E ora il rappresentante della comunità Singh Jetrindra riassume una tragedia tutta emiliana: «Kumar era stato chiamato dal proprietario perché la ditta doveva andare avanti. E lui non aveva avuto alternative. Si era presentato perché non poteva perdere il posto».
Ma non si pensi ad una visione dickensiana del lavoro, ad una condizione ottocentesca della fabbrica. Sono morti tutti così, ai loro posti di combattimento. I padroni e gli operai. Le formiche della pianura non sapevano che la terra le avrebbe inghiottite. Enea Grilli aveva fondato nel ’73 la BBg, specializzata nei macchinari per il biomedicale. Come tutti aveva vissuto giorni di trambusto, poi, con la rapidità che solo uno sprovveduto avrebbe definito giapponese o cinese, aveva messo sul sito della società di cui era uno dei tre soci la lieta notizia: «Ripartiamo, siamo felici di comunicarvi che il lavoro da oggi riprende». Lunedì la BBg, ferita dal sisma, era di nuovo in piedi. Troppo veloce, troppo in fretta. Troppo tutto. La vendetta è arrivata ieri mattina e ha spazzato via la trincea di San Giacomo Roncole, frazione di Mirandola. Un ruggito e, poi, la polvere. E lo stesso destino è toccato a Mauro Mantovani, il titolare della Aries di Mirandola, sempre nel distretto del biomedicale che vale, a spanne, 800 milioni di euro e cinquemila posti di lavoro. Il 24 maggio aveva dichiarato al Sole 24 ore: «È da giorni che corro su e giù per la Bassa alla ricerca di un nuovo capannone». L’aveva trovato, pure lui era stato un fulmine. Pure lui è stato così veloce da arrivare prima della coda del terremoto. Ma ieri era tornato nella sede vecchia per completare il trasloco e per fare prima si era fatto accompagnare dal figlio e per essere più sicuro si era fatto scortare da due vigili del fuoco. Gli altri si sono salvati, lui è rimasto sotto le macerie. E ora, come l’ingegnere volontario, passa direttamente dalle pagine della cronaca a quelle del lutto.
Sono morti ai loro posti. Tutti. Anche don Ivan Martini, 65 anni, da nove parroco di Rovereto, un puntino nella Bassa presa a morsi. La sua chiesa, Santa Caterina, era stata danneggiata dalla precedente botta. Ma anche lui non era certo rimasto a contemplare il dolore. Ieri, come i colletti bianchi che da queste parti sono sporchi di fango e di terra era rientrato sotto le volte della sua casa spirituale. Fragile come quelle degli uomini, esposta al dolore e alla sofferenza patiti dal Cristo. Voleva recuperare alcuni arredi, don Ivan, in particolare una statua della Madonna cui tutti in paese tenevano molto. Perchè da queste parti il culto dell’officina va di pari passo con il buon cibo e con la devozione che nemmeno il comunismo - e basta leggere don Camillo per capirlo - ha sradicato. Con lui c’erano due vigili del fuoco che l’hanno scampata. Lui no, è morto sul colpo. Come i due frati di Assisi sepolti il 26 settembre 1997 dagli affreschi di Giotto.
Sì, erano tutti ai loro posti.

Anche Sergio Cobellini, 68 anni, di Concordia. Era pensionato, era uscito per andare a prendere un caffè, indugiava, lui che adesso poteva, davanti alla tazzina fumante. Un comignolo l’ha centrato. Millimetrico come un cecchino.

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