Si dice che quando si tratta di farsi servire un caffè gli italiani sfoderino tutta la loro fantasia. Espresso, ristretto, doppio, lungo, macchiato, decaffeinato, al vetro. Per i media stranieri un ottimo esempiocon cui sintetizzare l’individualismo italico. Sul fronte istituzionale, però, non siamo certo da meno. Grazie alla imminente approvazione dell’«Italicum» per la sola Camera dei deputati ci apprestiamo a conseguire un record tutto italiano: avere un sistema elettorale diverso per ogni istituzione, con almeno sette modelli diversi (ma prendendo in analisi anche il Trentino e la Valle d’Aosta si potrebbe salire agevolmente a nove). Una sorta di Babele delle schede, una architettura tortuosa, un mosaico impazzito, un po’ come se partendo dall’assunto che il miglior sistema elettorale non esiste, nel nostro Paese si sia deciso di provarli un po’ tutti.
Naturalmente l’obiettivo dichiarato, la stella polare del nostro legislatore è sempre la stessa: assicurare rappresentanza, stabilità e governabilità. Sulla «bussola» da adottare, però, evidentemente resiste un pizzico di incertezza, visto che ci avviamo ad avere sistemi diversi per la Camera; per il Senato; per i Comuni sopra i 15mila abitanti; per i Comuni sotto i 15mila abitanti; per le Province e per il Parlamento di Strasburgo.
La divaricazione Camera-Senato - che si sta per consumare in Parlamento - è sicuramente quella che colpisce di più. In sostanza a Montecitorio avremo un sistema proporzionale basato su micro circoscrizioni, liste corte e bloccate, senza preferenze; soglia di sbarramento per l’accesso delle forze politiche in Parlamento (il 4,5% per i partiti coalizzati,l’8 per chi sceglierà la via solitaria, il 12% per le coalizioni); premio di maggioranza che scatta sopra il 37 %; ballottaggio tra le due forze politiche più votate, singole o coalizzate, ma solo nel caso che nessuno al primo turno raggiunga la soglia stabilita per accedere al premio di maggioranza.
Al Senato, invece, avremo il «Consultellum», una sorta di legge di emergenza e di risulta, frutto delle revisioni fatte dalla Corte Costituzionale al «Porcellum». Grazie all’emendamento presentato da Alfredo D’Attorre del Pd, infatti, l’Italicum non si applicherà a Palazzo Madama che resterà così in una sorta di limbo in vista di una sua futura cancellazione (affidata alle mani degli stessi senatori, circostanza che accende ovviamente molti dubbi sulla fattibilità del progetto).
Il ricco «menu» degli elettori italiani, però, non si conclude qui. C’è anche il sistema per l’elezione del Parlamento Europeo: un proporzionale puro su circoscrizioni territoriali molto ampie, con sbarramento al 4%. Un meccanismo che ci apprestiamo a utilizzare il prossimo 25 maggio. C’è, poi, quello per i Comuni con più di 15mila abitanti: elezione diretta del sindaco, con ballottaggio fra i primi due se nessuno supera al primo turno il 50% più 1 dei voti. E poi quello per i Comuni al di sotto dei 15mila abitanti, simile ma ovviamente non uguale al precedente visto che prevede sì l’elezione diretta del sindaco ma con turno unico, premio di maggioranza pari al 66% dei seggi e ballottaggio solo in caso di parità.
Altro giro, altra corsa: le Province, dove per i candidati presidenti valgono le stesse regole applicate ai grandi Comuni, con la differenza che per i consiglieri si usa un sistema uninominale corretto. Infine le Regioni.
Qui l’elezione diretta del presidente avviene attraverso un turno unico, quattro quinti dei seggi vengono attribuiti col proporzionale e un quinto va al presidente eletto (il «listino»). Senza dimenticare i sistemi personalizzati per la Valle d’Aosta e del Trentino. Ultimi tasselli di un puzzle istituzionale in perenne (e confusa) trasformazione.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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