"Già a 15 anni sognai di girarlo"

Il regista Luca Guadagnino racconta l'amore assoluto per il film di Dario Argento

"Già a 15 anni sognai di girarlo"

nostro inviato a Venezia

Venezia rosso shocking e Guadagnino bianco pallido, dalle 8,30 del mattino prima visione per i giornalisti di Suspiria - al red carpet delle 19 fino agli applausi della proiezione ufficiale in serata, tra round table e conferenze stampa, ecco le dichiarazioni non stop del regista italiano emozionato (un po' nervoso) e felice - ieri al Lido.

Il film è un remake del classico di Dario Argento. Cosa hanno rappresentato per lei Argento e quel film?

«Io amo Argento. Tutti noi intendo noi che abbiamo fatto il film: io, gli attori, lo sceneggiatore - lo amiamo. Non saremmo qui se non fosse per lui. Io sono uno stalker dei grandi maestri del cinema. E Argento è uno di quelli».

Quando ha visto Suspiria la prima volta? E quando ha deciso di farne un remake?

«Nello stesso momento. Vidi il poster del film a 11 anni. Poi a 14-15 il film. E lì cominciai subito a sognare di fare la mia versione. È il sogno della megalomania adolescenziale più nitido che abbia. E l'omaggio all'incredibile emozione che provai quando lo vidi».

E Dario Argento quando lo ha incontrato la prima volta?

«Subito dopo aver visto il film, da ragazzino, a Palermo. Qualcuno telefonò a mia madre dicendo che c'era Dario Argento in città. Io sono corso fuori dal ristorante dove cenava. L'ho guardato tutto il tempo da dietro i vetri, mandandolo in paranoia. Ma chi è questo ragazzino che mi fissa!, diceva. Ero io».

Dario Argento ha già visto il suo Suspiria?

«Sì, lo ha visto».

E..?

«Mi ha fatto una bella telefonata».

Tutti parleranno delle differenze tra i due film...

«Il cinema batte il Tempo. Ogni film è figlio del momento in cui è stato girato. Quello di Dario Argento è attraversato da una tensione che era propria di quel periodo, gli anni '70. Io mi ricordo la violenza che abitava le strade in Italia in quel momento, mi ricordo il rapimento di Moro... Il mio invece cerca di guardare alla storia in maniera più controllata».

Dopo Chiamami col tuo nome, un film sulla scoperta della vita, un film come Suspiria che è una scoperta della morte. È così?

«Non tematizzo mai mentre faccio un film, lo giro e basta. Deve parlare il film, non chi lo ha realizzato».

Di cosa parla il film?

«Del terribile nei rapporti interpersonali, del terribile nel femminile, del terribile nella Storia».

Il suo Suspiria è ambientato negli anni '70 in Germania, tra sensi di colpa non superati per il nazismo, il terrorismo della banda Baader-Meinhof, Berlino divisa dal muro... Perché?

«Mi interessava quel periodo, dal punto di vista storico e politico. E poi la questione femminile in quegli anni era molto forte, cercavo un momento e un luogo in cui non ci fossero le differenze. E poi quella è la Germania di uno dei registi che amo di più, Fassbinder, che nei suoi film ha creato delle figure femminili magnifiche, tormentate, mai vinte».

Che donne sono le sue streghe?

«Potenti, mai vittime».

Il suo film c'entra col movimento #metoo?

«(segni di insofferenza sul viso, ndr) Ho iniziato a girarlo nel 2016, il #metoo non esisteva ancora...»

Sì, ma cosa pensa del movimento #metoo?

«(segni di grande insofferenza sul viso, ndr). Dal mio punto di vista, dico da uomo e da europeo, è curioso guardare a un movimento femminile e americano. Comunque ha segnato una svolta, ha investito le coscienze. E da qui non si torna indietro. Diciamo che se ci ha insegnato qualcosa, è che non bisogna mai schiacciare l'altro col proprio potere».

Il tuo Suspiria c'entra con Salò di Pasolini?

«Tutti i film

c'entrano con Salò di Pasolini... Un film che anche il ministro Salvini dovrebbe vedere (l'allusione è alla rappresentazione del volto violento, grottesco, sanguinario, malato del fascismo, ndr. O almeno crediamo, ndr)».

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