Provate a immaginare i gestori di sei degli hedge funds più potenti al mondo riuniti a cena in un bel ristorante di New York. Capita, tra uomini d’affari; ma il loro non è un incontro conviviale. Quei sei uomini decidono di lanciare un attacco speculativo per affossare una moneta straniera. Dopo poche settimane quella moneta crolla.
Una scena da film, suggestiva. Ma improbabile obbietterebbero i puristi del libero mercato, nella presunzione che i mercati abbiano volumi tali da rendere impossibile qualunque forma di manipolazione. Teoricamente hanno ragione, ma la realtà, purtroppo, lascia sospettare il contrario.
Quella cena si è svolta davvero l’8 febbraio 2010, alla presenza dei gestori degli hedge funds più ricchi e potenti: George Soros, John Paulson, Steven Cohen. Assieme a loro Donald Morgan, David Einhorn e Andy Monness. Avrebbe dovuta rimanere riservata, ma qualche indiscrezione è trapelata. In Italia, per esempio, ne ha parlato per primo il settimanale Panorama. Nei giorni successivi alla cena è iniziato il travolgente movimento ribassista sull’euro.
Come funziona il meccanismo? C’è un grande fratello? Nossignori, il Grande manipolatore che impartisce ordini a tutti è inverosimile. Il gioco è più sofisticato.
Chi studia la psicologia sa che la natura della maggior parte degli uomini è gregaria. L’investitore crede nella sua razionalità, ma poi cerca di capire dove va il mercato ovvero cosa fa la maggior parte degli operatori e si accoda, amplificando movimenti che altri hanno voluto ovvero chi ha il potere, i mezzi, l’abilità di piazzare e far esplodere le mine in cima alla montagna e far scendere così la valanga che tutto travolge. I sei hedge hanno fatto esplodere la mina iniziale. Dopo quella cena fecero salire vertiginosamente i futures contro l’euro, che a fine febbraio raggiunsero punte, allora record, di 70mila contratti, segnalando al mercato che un movimento importante era in atto. I più lesti si accodarono. Ma la valanga non era abbastanza consistente. Per raggiungere gli obiettivi voluti era necessario far deflagrare altre mine. Quali? Le valutazioni delle agenzie di rating e i contratti Cds.
Delle prime abbiamo già parlato su questo giornale tempo fa e lo stesso Silvio Berlusconi ne ha denunciato l’inaffidabilità. Trattasi di tre società private americane, Moddy’s, Fitch, Standard & Poor, che operano sotto licenza in regime di oligopolio e che vengono pagate dalle stesse società che poi sono chiamate a giudicare. La loro credibilità è stata scossa da scandali e di sviste. È prossima allo zero, eppure, essendo gli unici giudici del rating, hanno mantenuto un’influenza notevole.
Tra aprile e maggio hanno agito con un tempismo sospetto, adombrando possibili diminuzioni di rating di Spagna e Portogallo, paventando contagi dalla Grecia all’Irlanda, facendo annunci a mercati aperti a pochi minuti dalla fine delle contrattazioni. Sempre al momento giusto. Per chi aveva speculato contro l’euro. Guarda caso. Il terzo anello è rappresentato dai credit default swap (Cds) le polizze contro il rischio di insolvenza che, come ha ricordato Fabio Pavesi sul Sole24Ore, valgono 32mila miliardi di dollari. Ma, ancora una volta, in condizioni anomale. Il 75% dei Cds è mosso da cinque grandi banche di Wall Street: Jp Morgan Chase, Bank of America, Goldman Sachs, Morgan Stanley, Citigroup. Insomma, un altro oligopolio che, come insegnano i manuali di economia, provoca quasi sempre distorsioni di mercato e accordi sotto banco. A dare altre pesantissime mazzate all’euro sono stati nelle ultime settimane proprio i Cds. Dunque, ricapitoliamo: sei colossi hedge decidono l’operazione, vengono agevolati dalle tre agenzie di rating, coinvolgono le 5 banche che muovono i Cds e i più grandi fondi di investimento.
Volevano una valanga, la valanga c’è stata. Loro si sono arricchiti, noi subiamo le conseguenze. Lo chiamano libero mercato, ma sa tanto di aggiotaggio...
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