Un pacco di medicine. Potrebbe essere appesa a questo spiraglio la possibilità di trovare un aggancio, un contatto diretto, se non con i rapitori di padre Giancarlo Bossi, almeno con un mediatore. I missionari del Pime, il Pontificio istituto missioni estere, sperano che la chiamata con la richiesta di farmaci per il missionario italiano, ricevuta ieri nella parrocchia di Payao dal confratello che sostituisce il religioso, e proveniente da «fonti non identificate», possa aprire un barlume per il ritrovamento del religioso, rapito il 10 giugno scorso nelle Filippine. «Una volta giunta la richiesta, un pacco contenente medicine per la pressione alta è stato inviato a padre Bossi - ha riferito Gian Battista Zanchi, superiore generale del Pime allagenzia di stampa Misna -. Contemporaneamente, abbiamo chiesto di avere notizie dirette sulle sue condizioni». Ora è necessario capire se luomo che si è messo in contatto col Pime è davvero coinvolto nel sequestro, se stia facendo da tramite o se sia solo un balordo. Per questo i confratelli italiani del religioso hanno chiesto prove certe sulle condizioni di padre Bossi. «Stamattina cè stato qualche incontro - ha riferito padre Luciano Benedetti. Occorrono un paio di giorni per la verifica. Se la persona che ci ha contattato, ci porterà le prove che padre Bossi è vivo e un suo messaggio attendibile, sapremo con chi trattare».
La cautela è dobbligo, insomma, specie dopo le numerose false segnalazioni che quotidianamente arrivano ai confratelli del missionario. Sono in molti gli sconosciuti che si presentano affermando di avere foto e registrazioni di padre Bossi, ma tutte, alla fine, si sono rivelate false.
Intanto le ricerche nel Paese continuano serrate, sullo sfondo degli scontri che martedì scorso hanno registrato luccisione di almeno quattordici soldati filippini, dieci dei quali barbaramente decapitati, nellisola meridionale di Basilan. Sul posto, a qualche giorno dai sanguinosi combattimenti, è arrivato un gruppo di osservatori malesi che dovranno indagare sugli episodi. Proprio in quellarea potrebbe essere tenuto in ostaggio padre Bossi, come ha confermato ieri il comandante regionale delle forze armate filippine, Eugenio Cedo: «Cè unalta probabilità che il prete rapito sia stato portato a Basilan», ha detto il militare. E le sue dichiarazioni hanno trovato conferma anche nelle parole del comandante locale dei marines, il colonnello Ramiro Alivio.
E sulla questione qualche conferma indiretta arriva anche dalla Farnesina, che mercoledì aveva negato la relazione tra i cruenti combattimenti svoltisi nellisola tra lesercito di Manila e i separatisti islamici del Milf e il sequestro del missionario italiano. Il capo dellUnità di crisi del ministero degli Esteri, Elisabetta Belloni, ha ribadito che gli scontri di martedì rientravano nellambito di un pattugliamento, ma ha aggiunto: «È del tutto evidente che in questo momento le operazioni di pattugliamento non escludano la possibilità di raccogliere elementi sul caso Bossi, ma loperazione in quanto tale era di routine». Poi un appello alla «discrezione», necessaria in un momento così delicato e la precisazione che gli sforzi sono concentrati su due fronti. «Sono due le piste che stiamo seguendo con più intensità: quella che riconduce a una matrice terroristica e al gruppo di Abu Sayyaf e quella che vede invece coinvolti elementi ribelli nellambito del gruppo Milf», ha spiegato la Belloni.
Restano ancora da conoscere le dinamiche e soprattutto lorigine della battaglia avvenuta a Basilan, dove un gruppo di una trentina di soldati ha affrontato centinaia di guerriglieri. Secondo il Milf, il Fronte Moro islamico di liberazione, sarebbe stato lesercito, senza un «coordinamento» precedente, cioè senza avvertire i guerriglieri a entrare nellarea cogliendoli di sorpresa e scatenando la reazione.
Lattenzione, però, è tutta su di lui, sul prete missionario definito ieri da padre Piero Gheddo, missionario del Pime, «un eroe positivo».
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