Roberto Scafuri
da Roma
Fermo e cortese anche il giorno della bufera, Marco Ferrando ricostruisce i passaggi e gli sgambetti che gli sono costati la candidatura al Senato. «Unoperazione piratesca», dice, costruita a tavolino dallasse strategico che dirige lUnione, l«asse Mieli-Fassino», determinata a «epurare lUnione da ogni impurità...». Daltronde, sostiene il professore trotzskista, «non si era mai visto il direttore di un grande quotidiano scrivere un corsivo in prima pagina per chiedere il ritiro di un candidato...». Ferrando si ritiene «vittima sacrificale» di un«aggressione politica mirata», nella quale è caduto «per ingenuità, faccio ammenda perché non ho colto il carattere piratesco della cosa». La sua candidatura, racconta, «è stata fin dallinizio bombardata dai giornali, dagli ambienti liberali, dai rappresentanti di quel potere bancario e industriale che tiene Rifondazione sotto pressione e che chiede a Bertinotti una rappresentanza parlamentare blindata, ligia alle direttive del futuro governo». Ci hanno provato con Caruso, con Lussuria. Visto che non sfondavano, ecco decidere «buttiamoci sul trotzskista».
«Ritengo di aver mantenuto un atteggiamento di massima prudenza, potevo essere sui giornali con una dichiarazione al giorno, e invece...». Invece, la settimana scorsa, ecco «prendere i contenuti di un libro di tre anni fa, dove parlavo di Israele, e farne un primo attacco». Non è bastato. «Allora arriva il giornalista che chiede di chiarire quei contenuti, di attualizzarli in unintervista: io dico di no, la telefonata si trasforma in una chiacchierata di cortesia, i cui contenuti non rinnego, perché sono le posizioni che rappresento, condivise almeno dal 41% di Prc». Il gioco è fatto: «Forzatura del titolo su Nassirya, il diktat di Prodi, Fassino eccetera. La cosa gravissima è il cedimento di sovranità di Rifondazione, che elimina il candidato scomodo. Ma la battaglia si apre ora, perché se comincia così lavventura di Rifondazione al governo, immagino quello che accadrà dopo...».
Ferrando ha già ottenuto di coagulare attorno alla sua vicenda lintero fronte delle opposizioni interne. «Il rifiuto di un altro candidato della minoranza chiarisce il segno politico e non personale della vicenda. Per questo ora bisognerà salvare il Prc da questa deriva di governo, anche perché migliaia e migliaia di nostri militanti si riconoscono in quelle posizioni e non accettano diktat esterni. Comè possibile che, invece di processare la classe dirigente che ha inviato i militari italiani a morire in unoperazione di stampo coloniale, i dirigenti di Prc facciano invece il processo al loro candidato? È unumiliazione al partito cui bisognerà dare risposta, non faremo lerrore di farne una battaglia di resistenza minoritaria...
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