«Balotelli è italiano, Afellay olandese, io e Ozil siamo tedeschi. Negare l'integrazione in pieno Terzo millennio significa aver paura del futuro». Sami Khedira parla con chiarezza e senza troppi fronzoli, un po' come quando gioca disimpegnandosi nel delicato ruolo ereditato in situazione last minute da Ballack. Con un padre nato ad Hammamet, il 23enne centrocampista dello Stoccarda plaude alla scelta del ct Loew che ha abbracciato la politica dei calciatori multirazziali in una Germania un tempo convinta che undici giocatori alti due metri e il Deutschland über alles dalle gradinate la rendessero invincibile.
Secondo alcuni le sue parole farebbero pensare ad un eccessivo buonismo.
«Non è una questione di essere buoni o comprensivi, ma un dato di fatto. Mio padre è tunisino, mia madre tedesca. Io sono il figlio di due mentalità. Sono meticoloso come i tedeschi e ho il temperamento caldo dei maghrebini. Questo cocktail è stato il segreto del mio successo, così come quello di alcuni miei compagni di nazionale».
L'Italia è reduce da un mondiale disastroso, lei crede che possa essere pronta ad una svolta di questo tipo?
«Credo di sì, basta volerlo. Prendiamo ad esempio Balotelli. Lui è nato in Ghana, ma è italiano a tutti gli effetti. È vero che non è stato convocato per scelte tecniche, ma attorno a lui leggo che c'è molta diffidenza. Forse per il colore della pelle. Noi in Germania certe discrepanze le abbiamo superate».
Insomma, lei Balotelli l'avrebbe portato ai mondiali.
«Senza alcun dubbio. Sono un suo ammiratore, lo considero tra gli attaccanti più dotati in circolazione. Dell'Italia mi ha impressionato la personalità di Criscito e poi mi piace molto anche Giovinco».
Gioventù al potere...
«La Germania non guardando la carta d'identità è arrivata ai quarti di finale. Stesso discorso per il Ghana che ha una squadra giovanissima».
Parliamo dei mondiali, come si è sentito a dover sostituire Ballack?
«Non ho certo perso il sonno. Non lo considero un peso perché sono convinto delle mie qualità. Rispetto a Michael sono più calmo».
Si ritiene davvero il suo erede?
«In realtà sono cresciuto sognando di emulare Patrick Vieira. Poi nel tempo mi sono innamorato di Zidane. Mi sento un po' una via di mezzo tra i due: combatto, ma costruisco anche».
In poche settimane è diventato uno degli idoli della Germania, la sua vita è cambiata?
«Mi rendo conto che forse non potrò più fare shopping indisturbato o bere un caffè al banco, ma fa parte della notorietà. Anche se i tifosi tedeschi sanno rispettare la privacy».
Cosa pensa suo padre Lazhar del momento che sta vivendo?
«Ci sentiamo spesso al telefono. Mi dà consigli e mi spiega che nella vita si può sempre migliorare. È arrivato in Germania 25 anni fa da immigrato, spaccandosi le mani in un'acciaieria di Stoccarda per mantenere la sua famiglia. Gli devo tutto».
Qualche rimpianto?
«Mi sono rifiutato da bambino di imparare l'arabo. È stata una stupidaggine, perché le lingue aprono le porte e ti fanno sentire davvero cittadino del mondo».
Luigi Guelpa
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