Il dominio della presunzione! Ecco cos’è stato l’unanime sdegno di critici cinematografici
e giornalisti per le parole del ministro Bondi sulla Mostra del cinema
di Venezia. Parole sante accolte con la supponenza e il conformismo di
chi rivendica la libertà di espressione artistica e sente la minaccia
del potere.
Ecco il perbenismo di Mario Martone: «No, nessun
membro del governo deve mettere becco in questo campo. La scelta della
giuria è una delle prerogative del direttore. E comunque la cultura non
si indirizza, la si sostiene. Che è cosa diversa». Poi, preso il
sostegno, si vede il film di Martone. E si capisce che il problema non
è il becco del membro del governo, ma la totale assenza di
ispirazione e di poesia del regista, che è
cosa più grave. Parla poi il critico Osvaldo Guerrieri: «Per tanti anni
ci siamo spaccati la testa cercando giurie di qualità e artisti in
grado di scuotere i conformismi...
tutto
inutile.
La soluzione era a portata di mano. Bastava il mago Bondi
che però era troppo impegnato a studiare le strategie culturali degli
anni Trenta». Non diversamente Paolo Mereghetti, a sua volta inviso
al direttore della Mostra del Cinema, Marco Müller, inviso a Bondi
che lo ha stigmatizzato con lucidità e calibrando le parole, dicendolo
innamorato dei propri schemi fino al punto di non privilegiare i
talenti e le novità che sono sotto gli occhi di tutti.
Per niente
sprovveduto e indipendentemente dalla sua discussa assenza a
Venezia, Bondi, non diversamente da quanto avrebbero fatto Pasolini,
Testori o oggi Guido Ceronetti, i quali hanno espresso un pensiero
anti-conformistico, osserva: «Tarantino è espressione di una cultura
elitaria, relativista e snobistica. E la sua visione influenza i suoi
giudizi critici». Per Mereghetti è troppo: «Ci sarebbe da ridere, se
non fosse il caso di piangere. Perché nemmeno ai tempi di Storace e
Farinacci si era sentito dire da un ministro che voleva “mettere becco
nella scelta dei membri della giuria della Mostra del cinema di Venezia”.Verrebbe voglia di non crederci, ma visti i precedenti la dichiarazione è tragicamente credibile».
Unanime sdegno, dunque. Persino da parte del nostro Maurizio
Caverzan: «E dunque va detto che, pur tenendo conto del patrocinio
economico ministeriale della mostra di Venezia, l’idea di “mettere
becco” nella scelta dei giurati deriva da una cattiva concezione della
libertà d’espressione artistica oppure da pessimi
consigli.L’introduzione di giurie di Stato non appartiene certo alla
filosofia di un governo che si professa liberale». E persino Luigi
Mascheroni, sempre del Giornale , mi dice
ironicamente, prima che inizi a scrivere questo pezzo: «Voglio vedere
come farai a difendere l’indifendibile». Eccomi.
Come Mascheroni
sa bene,all’indomani della vittoria del film di Sofia Coppola io lo
chiamai per annunciargli un intervento contro il verdetto della giuria,
per denunciare l’arbitrio di personalismi e favori che avevano
portato Quentin Tarantino a premiare il film
di una ex fidanzata e figlia di un grande e potente amico. Ecco il
punto. Perché devo pagare Tarantino per consentirgli di premiare la sua
ex fidanzata in un giro che non potrebbe essere meglio detto che
«espressione di una cultura elitaria, relativistica e snobistica»? Ha
perfettamente ragione Bondi. E infatti, subito dopo la premiazione di
Sofia Coppola,pensavo di iniziare l’articolo con la frase: «Ha fatto
bene il ministro Bondi a disertare la Mostra del Cinema». Ma ora che ha
espresso il suo parere con assoluta sincerità, la critica principale
contro di lui è: «Come fa Bondi a parlare se non è nemmeno andato a
Venezia?».
Purtroppo per i critici io a
Venezia sono andato e posso dire che il film della Coppola, oltre ad
essere formalmente modesto, è anche un’assoluta idiozia, non solo
nei contenuti, ma anche nella totale vanità del racconto e della
condizione umana che vuole rappresentare, con tutte le concessioni
alla capacità di rappresentare una condizione psicologica, la
insensatezza di alcuni modi di vivere. La Coppola è banale,
prevedibile, scolastica. Perché ha vinto il Leone d’Oro?
E gli
italiani? Si può pensare che non meritassero neppure un premio? Si può
consentire che Venezia debba, da anni, ignorare il nostro cinema? E
anche se non si può stabilire un rapporto necessario tra i finanziamenti
e la giuria, come si può pensare che, per una fiera delle vanità di
film in gran parte modesti per giudizio degli stessi che oggi
criticano Bondi ( ricordo un articolo perplesso a metà della Mostra di Natalia
Aspesi che lamentava la generale mediocrità delle opere fino a qual
momento presentate) sia giusto spendere 12milioni di euro, di cui 7
dello Stato per una Mostra senza peso economico e culturale, anche se
arricchita dal gusto e dalla sensibilità di Müller, che potrebbe
realizzare un’eccellente rassegna di cinema d’essai a piccoli costi?
La stessa Natalia Aspesi, sino a ieri, ha
espresso pensieri simili a quelli di Bondi, e adesso lo critica, e
scrive: «E chi mai vorrebbe mettere in giuria Bondi? La sua fidanzata,
il figlio di Bossi, la truccatrice di Berlusconi, e per la parte
straniera, lo zio di Putin e una guardia del corpo di Gheddafi?».
Eppure, mentre lo critica, tra facezie e stupidaggini, ripete i suoi
argomenti, e finisce col dargli ragione ed è costretta a riconoscere
che «la Mostra di Venezia, la più antica e nobile» è «oggi un po’
logorata»; e ancora: «Tarantino non ha preso troppo sul serio il suo
compito di Presidente della Giuria a Venezia: ma Müller lo aveva
scelto perché è un grandissimo uomo di cinema ed è già stato
presidente di Giuria a Cannes» (e cosa vuol
dire?). E soprattutto: «i Festival per loro natura sono elitari, fatti
per gli intelligenti, i colti, gli snob, i cinefili, i trasgressivi».
Le stesse parole di Bondi.
E dunque
dobbiamo dare 7 milioni di euro dello Stato a snob, cinefili,
trasgressivi e intelligenti? Se sono tali, non avranno bisogno di una
cultura di Stato, ma magari preferiranno che con quei danari si
sistemino definitivamente le Gallerie dell’Accademia, Palazzo Ducale,
e magari qualche Villa di Palladio, evitando, come vorrebbe
Mereghetti, di buttare 110milioni di euro nel nuovo orribile Palazzo del
Cinema, di cui fa bene Bondi a non preoccuparsi, se non per
scongiurarne l’inutile costruzione.
Per concludere sulla proposta «indecente»di Bondi,dico che invece dei giurati immaginati dalla Aspesi, Bondi potrebbe serenamente proporre filosofi e scrittori fuori della«cultura elitaria,relativistica, snobistica». Non avrebbe difficoltà a indicare, con beneficio di tutti, per esempio: Manlio Sgalambro, Guido Ceronetti, Giovanni Reale, Claudio Magris, Gore Vidal, Roberto Calasso, Pietro Citati, Tahar Ben Jelloun, Hanif Kureishi, Vidiadhar S. Naipaul ( io stesso glielo suggerirei) e magari presidente Alexander Sokurov. Per una giuria di teste pensanti e occhi vedenti, anche fuori del mondo del cinema, non varrebbe la pena di «metterci becco », magari facendoli venire a Venezia invece che a Mantova? Il problema non è come vengono chiamati i giurati, ma chi sono. E nomi come questi andrebbero bene anche se non vi fosse un finanziamento di Stato come puro contributo culturale del ministro della Cultura. Perché i giurati, se li sceglie Müller vanno bene, e se li sceglie Bondi no?
E perché devono essere per forza «addetti ai lavori» e uomini di cinema e non spettatori colti? Questo -credo-intendeva Bondi.Se i nomi sono buoni, allora l’obiezione «non avviene in nessun Paese del mondo» non ha più senso. O qualcuno ha discusso che alla storica Enciclopedia Treccani sia stato nominato presidente Giuliano Amato? Soldi di Stato, uomo di Stato. Converranno Mereghetti, Guerrieri, Aspesi e gli altri? O protesteranno anche per la Treccani?
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