Milano - Da qualche giorno le Veline di Striscia la notizia si scatenano al ritmo di un rock fresco e impetuoso, un brano che si intitola Mask On ed è tra i più trasmessi dalle radio inglesi. Lo interpreta il 34enne cantante e chitarrista svizzero George Merk, uno che sta bruciando le tappe, fa tendenza e fa parlare di sé mezza Europa con l’album X. Bella forza, ha la doppia raccomandazione in tasca, dirà qualcuno scoprendo che è il figliolo di Rita Pavone e Teddy Reno. La regina dello yèyè e un grande crooner e talent scout, chissà quante porte gli hanno aperto. E invece nisba; George è un vero rocker che canta in inglese, ha trovato la sua strada orgogliosamente da solo e ora comincia a raccogliere i frutti alla guida di un trio - come ai vecchi tempi - chitarra, basso e batteria.
Con due genitori così uno nasce con la musica nel sangue.
«Ho grande stima per i miei genitori come artisti, ma ho imbracciato la chitarra con tutt’altro spirito. Un giorno, avevo 17 anni, guardavo la tv e vidi la pubblicità di un cofanetto dei Led Zeppelin. Non li conoscevo, ma lo comprai e pochi giorni dopo ero in cantina a cercare di imitarli».
Ma a casa, proprio nessuna influenza?
«Ammiro molto papà, grande cantante swing, ma è un genere troppo tranquillo per me. Da mamma ho preso l’energia, l’entusiasmo. Ai suoi tempi era scatenata e mi ha raccontato cose che hanno stimolato la mia fantasia. Ha inciso dischi a Las Vegas, con il grande chitarrista country Chet Atkins, e lì ha conosciuto Elvis, il suo idolo. Hanno passato una serata insieme - lui l’aveva vista a uno show televisivo - e le ha regalato un quadro autografato che abbiamo ancora a casa. Mamma ha cantato anche sullo stesso palco dei Doors, queste sono le cose che mi entusiasmano».
Neppure un aiutino?
«Qualche consiglio, ma aiuti no. Uso il vero nome di papà, che si chiama Ferruccio Merk, e non vado sbandierando le mie origini, anche se sono molto legato ai miei, che a loro volta sono felici delle mie scelte».
Dopo gli idoli di mamma, i suoi quali sono?
«Ian Anderson dei Jethro Tull e Jimmy Page dei Led Zeppelin. Se riuscissi a suonare con loro potrei anche ritirarmi».
Come definisce la sua musica?
«Una scazzottata tra rock e folk inglese senza vincitori né vinti».
Quindi, c’è anche il folk nel suo cuore?
«Nei brani dei Led Zeppelin ci sono mille sfumature folk, e poi amo la tradizione inglese. In Italia i miei preferiti sono Branduardi e De André».
Dunque ama gli artisti del passato. Non le piace il rock italiano?
«Mi sembra sempre un passo indietro rispetto a quello angloamericano. E poi non amo mischiare musica e politica come fanno in Italia; ho già i miei problemi, figurarsi se mi accollo quelli degli altri. Il rock non deve essere disimpegno, ma io tra Lennon e McCartney scelgo McCartney che è più melodico e musicale».
Oggi che lei è un esempio del rock indipendente che arriva al successo. Dov’è il segreto?
«Puntare al mercato internazionale e usare, nei giusti limiti, la tecnologia. Internet ci ha dato una grossa mano; abbiamo messo i brani in rete e dopo qualche giorno le maggiori radio inglesi ci hanno chiesto di trasmetterli. Questo ci ha fatto conoscere un po’ ovunque. Con Striscia invece abbiamo osato; la guardo fin da piccolo e un giorno ho deciso di spedire in redazione il nastro con Mask On. Dopo pochi giorni ho avuto la sorpresa di vederlo in onda».
In Svizzera la scena rock è quasi inesistente.
«Per questo trascorro molto tempo a Londra, dove si respira ovunque il rock. Così ho imparato a comporre pezzi in inglese originali, senza sembrare uno che va a rubare a casa del ladro. In Svizzera i media pensano poco allo spettacolo; la tv è fortissima sull’informazione».
Da noi in Italia è stato a Scalo 76: di “X Factor” cosa pensa?
«Penso sia un ottimo modo per far arrivare la musica alla gente ma non è per me.
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