«Io, italiana convertita, difendo velo e poligamia»

Paolo Bracalini

da Milano

«Il velo islamico ha una funzione di protezione per la donna giusta, è uno “schermo” che la separa da chi compie il male e anche da chi non dà importanza alla conoscenza di Dio». Patrizia Khadija Dal Monte, veneta convertita all’Islam, il velo lo porta da 17 anni. «Sono stata la prima italiana. All’inizio mi guardavano con curiosità. Oggi invece c’è molta diffidenza per le donne velate». Da giovane fervente cristiana, alle battaglie femministe per la minigonna negli anni ’70, oggi, dirigente del dipartimento Pari opportunità dell’Ucoii, difende la poligamia e il velo come «espressione di libertà» per le fedeli del Profeta.
Il contrario esatto di quello che dice l’onorevole Santanchè.
«Non mi stupisce, sono sicura che la Santanchè non ha mai letto una riga del Corano. Parla di cose che non sa e sul velo dice solo stupidaggini».
Sa che per questo le hanno dato una scorta?
«Sì, ma è quello che cercava. Mi sembra una decisione strana, non rischia assoulutamente nulla. Non ho mai sentito di una persona che rischia perché è contraria al velo».
Lei si copre con l’hijab. Perché?
«Perché fa parte dell’Islam. Le musulmane lo vivono come un precetto religioso, non come un’imposizione del maschio. La religione islamica si applica allo spirito come anche al corpo, non c’è separazione. L’uomo non deve indossare la seta e l’oro, la donna deve indossare il velo. È un obbligo morale.
Quindi le musulmane che non lo portano sono infedeli?
«No, è una scelta libera, ma il velo permette di difendere l’identità di musulmana e ad essere religiose. È uno strumento che avvicina alla pienezza della fede».
Però in Italia c’è una legge che vieta di coprire il volto. Come la mettiamo?
«Non riguarda il velo che copre solo il capelli. Sono d’accordo che il burqa o il niham (che coprono il volto, ndr) non si adattino alle musulmane che vivono in società occidentali. Non verrebbero capite, e anzi darebbero un’immagine negativa dell’Islam.
Ma è prescritto o no nel Corano?
«C’è scritto, basta saperlo interpretare. Una sura dice: “Dì alle credenti di abbassare i loro sguardi ed essere caste; di lasciar scendere il loro velo fin sul petto e non mostrare dei loro ornamenti ad altri che ai loro mariti, ai loro padri”».
C’è parità nel Corano tra donna e uomo?
«Il maschilismo non è nel Corano, anche se ce ne sono delle tracce nella cultura musulmana. Ci sono tanti versetti che affermano l’uguaglianza tra uomo e donna. Diversi invece sono i precetti rispetto alla famiglia».
Cioè in famiglia il marito conta più della moglie?
«È giusto che l’uomo abbia il ruolo di capofamiglia, non in senso autoritario, ma come assunzione di responsabilità. Gli uomini devono sentirsi vezzeggiati dalla moglie, sennò si sviliscono».
È d’accordo anche con la poligamia?
«Meglio di un marito che ha l’amante. Non è vero come dice il cristianesimo che in una persona troviamo tutto, il matrimonio monogamico non è l’unica via. Però ci vuole un accordo. L’uomo deve impegnarsi a mantenere tutte le mogli e i loro figli».


Ma lei si sente più libera di una donna occidentale?
«Per me la libertà non è fare quello che mi pare, vestirmi come mi pare. Fare il bene è la libertà, la religione dà la libertà. La libertà è vivere nella verità di Dio, non seguire le mode superficiali. Io, velata, sono più libera di una velina».

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