Marco Lombardo
È la dimostrazione che cavalieri probabilmente si nasce. Nell'anima e nella passione, se davvero Lorenzo De Luca ha cominciato così da piccolo: «Appena ne vedevo uno a dondolo mi ci buttavo sopra. Ce l'avevo dentro». Lorenzo oggi con i cavalli ci gareggia, visto che è una delle star dell'equitazione mondiale che in questi giorni sta facendo tappa a Roma al mitico concorso di Piazza di Siena. Per dire: ha cominciato a vincere nel 2013 quando anche ha esordito in Coppa delle Nazioni ed è esploso nel 2016 con successi in serie e il trionfo a squadre con l'Italia a Roma. Poi la scalata al secondo posto nella computer list mondiale (2017, mai nessun italiano c'era arrivato) e il Gran Premio Roma l'anno dopo. Lui, che a poco più di 30 anni è appunto uno dei massimi rappresentanti di uno sport che fa rima con stile. E nel quale ha trovato la sua vita, un grande amore (ne parleremo dopo) e sponsor di lusso come Land Rover (che ieri ha griffato uno dei trofei in palio) che lo hanno eletto brand ambassador. Perché con quel garbo e quell'eleganza, di sicuro non si può sbagliare ad affidarsi a un cavaliere.
Lorenzo, quando sei sceso da quelli a dondolo per salire sui cavalli veri?
«La prima volta è successo al mare. Il sono pugliese e era da un po' che insistevo con i miei genitori che volevo provare. A 9 anni mi hanno accontentato».
E...
«Ed ero nel posto giusto al momento giusto. Ho capito che loro erano parte di me».
Com'è proseguita?
«Dopo il diploma scientifico mi sono spostato a Roma e ho cominciato a fare esperienza. Poi a Modena presentavo cavalli nelle prime gare internazionali».
Ci puoi spiegare il rapporto tra cavaliere e cavallo?
«È quello che si crea in una squadra. Bisogna curare i minimi dettagli. Perché anche loro hanno bisogno di un programma sportivo vero e proprio».
Tipo?
«Beh: c'è l'allenamento, l'alimentazione, le cure veterinarie, il trasporto per le gare, la logistica, la preparazione ai concorsi. Tutto va fatto senza stressarli».
Bisogna voler loro bene.
«Certo, si tratta di esseri viventi. E non dobbiamo mai dimenticare che senza di loro non potremmo gareggiare. Un cavallo stanco non rende al 100 per cento, un minimo disturbo può far saltare tutto il programma».
I cavalli parlano?
«Eccome: sanno come esprimersi. Noi comunichiamo con loro con quelli che si chiamano aiuti: con un movimento della mano, con la voce, avendo un perfetto controllo del corpo quando li montiamo. E loro ci fanno capire se stiamo facendo la cosa giusta. E poi c'è una cosa che molti non considerano».
Quale?
«Anche i cavalli hanno il loro carattere. Ci sono quelli estroversi e quelli introversi per esempio, ed anche loro possono avere giornate no. Devi sapere come trattarli: il carattere di questi animali è una delle parti più intriganti nel nostro sport».
A proposito di cavalli: come va con quelli delle automobili?
«Guido una land Rover, una Discovery Sport. Ma a differenza di quando salto sono molto prudente...»
Parliamo di stile allora: in gara sei sempre in divisa.
«Faccio parte del gruppo sportivo dell'aeronautica, sono Primo Aviere. È un onore e un privilegio da mostrare al mondo».
Ma com'è lo stile di un cavaliere?
«Nasce dall'armonia che si crea col tuo cavallo, è il muoversi in modo naturale seguendo il galoppo. Uno sforzo di squadra che la gente da fuori non percepisce ma che è indispensabile».
E lo stile fuori dalle gare?
«Noi cavalieri siamo molti disciplinati, per forza. Ma nel tempo libero siamo come tutti. Credetemi: amiamo molto divertirci».
C'è rivalità nel circuito?
«In gara certo. Ma non ci sono nemici: facciamo parte ormai di un mondo che viaggia insieme. E ci rispettiamo. Non c'è insomma la gelosia che ho trovato nelle gare minori, ma anche molta amicizia».
Con qualcuna c'è po' più di amicizia...
«So dove stiamo per arrivare...»
Jessica Springsteen, appunto... Com'è successo?
«Ci conoscevamo da un po', essendo sempre negli stessi posti. È nata un'amicizia appunto, poi l'anno scorso un giorno mi sono deciso e l'ho invitata a cena».
Lei ha risposto subito...?
«Subito ha risposto di sì»
Molto galante. Una storia normale dunque....
«Infatti. Com'è normale lei e come lo sono i suoi genitori».
Com'è stato conoscere Bruce?
«Anche in questo caso è avvenuto normalmente, lui e la moglie Patti erano già venuti a vedere diverse gare».
Eri un suo fan?
«E chi non è fan del Boss?»
Eppure nessuna soggezione.
«Davvero. Sono persone semplici, hanno dei grandi valori e amano la loro famiglia. Sono star della musica ma hanno una vita normalissima. D'altronde lo possono capire tutti».
Come?
«Solo persone così arrivano nel cuore della gente. Se così tanti nel mondo amano il Boss e le sue canzoni, non è certo un caso».
Tornando all'equitazione: meglio vincere da solo o nelle gare a squadre?
«È chiaro che quando trionfi con il tuo cavallo hai una sensazione incredibile, pensando al lavoro di tutta la squadra che c'è intorno. Per questo non dimenticherò mai il successo con Halifax l'anno scorso nel Gp di Roma. Però ce n'è anche un altro nel mio cuore».
Quale?
«Quello del 2016 a Piazza di Siena nella Coppa delle Nazioni: un gruppo fantastico composto da quattro amici. Zorzi, Bucci, Cimirri ed io. Memorabile».
Per finire: il consiglio di un cavaliere a chi potrebbe diventarlo.
«Difficile invogliare a fare uno sport, devi sentirtelo dentro. Però posso dire che la passione è la strada da seguire, che bisogna rincorrere sempre i propri sogni. Insomma un consiglio c'è...»
Ovvero?
«Bisogna essere pazzi d'amore per quello che si fa».
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