«Io, Mario Pepe del Pd Mi chiesero favori pensando fossi l’altro»

Nome e cognome.
«Mario Pepe».
Soprannome, diminutivo, nomignolo alla brasiliana?
«No, Mario Pepe è una sintesi gnomica perfetta».
E io come la differenzio da «quell’altro»?
«Sono quello nato a San Giorgio al Sannio nel 1941».
Sarà che sono di Cremona, ma fatico a riconoscere un beneventano da un salernitano...
«Allora diciamo che sono quello eletto per il Partito democratico».
Ci siamo. Inquadrato. E che lavoro fa? Ah, non mi risponda «il deputato»...
«Sono professore di storia e filosofia, un latinista tollerante come Locke. Non tengo niente se non la parola, chiara e significativa».
E dunque ha fatto politica, torna tutto...
«Ho cominciato a fare politica a 6 anni. Mi sollevavano sul balcone e io parlavo della monarchia. Poi l’Azione Cattolica e tutta la gavetta ab nihilo: figlio di operai, consigliere, sindaco e infine deputato nel 1994 e nel 1996. E di nuovo ora: risorto quando nel centrosinistra tutto crolla».
Ma senza più il monopolio del nome a Montecitorio.
«Vero, per la prima volta siedono due Mario Pepe in Parlamento. Ci conoscevamo, ma non ci eravamo mai incontrati in maniera sensibile. Ci siamo incrociati solo al momento della votazione del presidente, quindici giorni fa».
E in questi anni mai un qui-pro-quo?
«Più di uno. Per esempio durante la mia presidenza della Commissione bicamerale sulle questioni regionali, dal ’96 al 2001, una signora romana venne a chiedermi un favore. Disse di aver votato per me e per provarlo si portò appresso un santino del mio omonimo, candidato per le elezioni regionali del Lazio del 1995 con il Partito liberale».
Sarà per quello che lei poi non fu riconfermato?
«Una “dulcis amaritia”, come dice Lucrezio. In compenso nel 2001 venne eletto lui. Dissi ai colleghi: “Vabbè, mi sostituisce un altro Mario Pepe in spirito e materia, così non sentirete la mia mancanza”».
La prima cosa che le ha detto quando vi siete visti?
«“Ho goduto della tua fama. Pensa che pure la Lega ti ha apprezzato”. A parte tutto, ci siamo guardati negli occhi e ci stiamo simpatici».
Ma non dovrebbe essere il suo “lato oscuro”?
«Macché, siamo due lati luminosissimi. Ci consideriamo i reciproci alter-ego, accomunati dall’identità genetica - in senso di gens, discendenza - e dall’origine meridionale».
Quindi immagino nessuno scambio di coppia...
«Per carità! Sono un proboviro morigerato».
Non avrà il vizio ma ha il pelo. «L’altro» non sfoggia la sua barbetta...
«In effetti ho una barba seriosa e professorale, mentre lui ha un bel viso solare. Però abbiamo gli stessi occhi penetranti e profondi».
Sarà. Chi è il più rivoluzionario dei due?
«Io. Da piccolo giocavo con un altro bambino: lui rappresentava l’ordine, io facevo il giacobino. Poi quell’amico è diventato finanziere e io sono rimasto un movimentista».
A gusti come siamo messi?
«Innamorato di Mazzola, simpatizzante di Rivera e Del Piero. La Carfagna è splendida e la Prestigiacomo troppo fredda. All’auto blu preferisco la poesia e la fantasia della bicicletta e in politica sono stato per 45 anni fedele di De Mita. Come Mastella che ho cresimato e fatto crescere».


Almeno una cosa del campano ce l’ha...
«Guardi che la Campania nell’antichità era la Longobardia Minor. Sono un capricorno verace, testardo e generoso. E quando vengo al nord mi dicono: “Tu sei troppo ordinato per essere un terrone”».

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