«Io, portaborse in nero, vessato dal deputato legalitario dei Ds»

«La cosa che fa più male è che quando mi dicono “beato te che lavori per un uomo come l’onorevole X” non posso neanche urlare che è un incubo, non una fortuna». L’incubo ha il volto specchiato di un politico progressista che da quasi dieci anni paga in nero un suo dipendente. E che ora ha fatto un salto di qualità: di fronte alle legittime rivendicazioni dell’intero staff, da mesi ha pensato bene di chiudere del tutto i cordoni della borsa, optando per le minacce di licenziamento.
Il Portaborse anonimo, sfruttato, malpagato, dimagrito e sottomesso, cresce al sud, in una famiglia fieramente antifascista. Abbraccia cattolicesimo e socialismo, collabora con numerosi giornali. «Poi vengo contattato da un candidato sindaco per curargli la campagna elettorale. Questo arriva in un quartiere popolare della sua città e commenta: “Be’, non c’ero mai stato qui”. Ecco. Avrei dovuto capire subito: se la sinistra punta su queste persone così lontane dalla gente, Berlusconi vincerà per 40 anni». Ma il Portaborse non si scoraggia e prova a farsi strada nel sindacato, come addetto stampa. Una struttura seria, importante, da sempre schierata con i precari: «Peccato che appena ho chiesto la regolarizzazione sono stato buttato fuori: che non mi permettessi di fare vertenze nei loro confronti. E io, che per il mobbing avevo perso dieci chili, ho lasciato perdere».
Il Portaborse finisce in terapia: depressione cronica. Nel sud senza lavoro lui prova a proporsi ai comunisti: «Dopo 7 mesi impegnato per loro 12 ore al giorno, mi sbilancio e chiedo lo stipendio. La risposta? “Ah, pensavamo fossi un volontario”». E poi ci si chiede perché «i compagni che hanno visto come funziona la sinistra meridionale ora piuttosto di votarla non vanno più alle urne».
Nella desolazione di ideali infranti, qualcosa si muove. «Un mio mito, un politico dei Ds, un uomo che ha fatto della legalità una ragione di vita e una bandiera, mi chiede di scrivere i comunicati, organizzare le interviste, curare la sua immagine». Ma la storia è la stessa, quella di una sinistra per cui i lavoratori sono solo un punto su un programma elettorale: «In quasi dieci anni al suo servizio, reperibile sette giorni su sette, sono sempre stato retribuito in nero - spiega -. Siamo diverse persone nella stessa condizione: 500 euro al mese. Contributi previdenziali a nostro carico. Una vita di merda per una vecchiaia da fame».
Eppure l’immagine pubblica del politico parla un’altra lingua. Uomo integerrimo, ogni suo intervento è una condanna delle collusioni, del malcostume. Ovviamente sempre degli avversari: «Sono cresciuto pensando che le porcherie le facessero solo quelli di destra - continua l’Anonimo ghost writer -. Invece confrontandoci tra colleghi ci siamo accorti che la verità è un’altra: i collaboratori di politici di centrodestra sono trattati umanamente. Sono quelli di sinistra a fare cose oltre lo sfruttamento». Un cocktail tra prepotenze e atteggiamenti pilateschi: «Una volta dovetti cambiare aria per un po’, non certo per una vacanza. Al mio ritorno non trovai lo stipendio. E il mio deputato mi disse: “Eh, questo mese non ci sei stato...”». Peggio del peggiore dei magnati proni al dio profitto.
Anni a fare da spettatore a clientele, buoni benzina, tentativi di by-passare le graduatorie per l’assegnazione delle case popolari, raccomandazioni per le assunzioni in tv. Il malcostume generale che diventa particolare: «Siamo in tanti a non poterne più, ma denunciarle è difficile. Se perdo il lavoro come campo? Mi fanno terra bruciata intorno. E poi questi personaggi hanno amicizie importanti tra i magistrati. Anche se non hanno mai lavorato, non sanno fare niente. Sa quante volte mi ha chiesto di occuparmi di una cosa perché lui non ne capiva nulla? Una volta ho citato Ennio Flaiano in un articolo e mi ha chiesto se era l’imperatore romano. L’altra volta dovevo accompagnare una troupe francese ad un comizio, ma quelli avevano il Gps e sapevano arrivarci da soli. La risposta dell’onorevole? “Ma su ’sto Gps avranno un posto anche per te, no?”».
Dietro il sepolcro imbiancato, poco. Un ribaltone etico, un’ipocrisia manichea: «È anche colpa mia. In questi anni ho svolto così bene il mio compito che ho creato intorno al mio datore di lavoro l’aura dell’intoccabile. Così lui si può permettere di essere solidale sui media con i lavoratori della Fiat, mentre cerca di disfarsi di quelli che dipendono da lui». Niente co.co.co., né co.co.pro., né aumenti. Anzi, una specie di guerra fredda più sinistra che sinistrorsa: «Neppure quando una persona a me vicina ha avuto problemi di salute e gli ho chiesto una mano per far fronte alle spese mediche mi ha accontentato. Anzi, ora da qualche mese non paga più nessuno perché mira a liberarsi di noi per assumere precari più giovani. Ripete solo di non avere i soldi. Poi viene pubblicata la sua dichiarazione dei redditi e scopriamo che ha acquistato appartamenti e terreni».


Si chiama predicare bene e razzolare male ed è un malanno più frequente dell’allergia da polline. Ma il Portaborse non ne può più: «Sentirlo pontificare su trasparenza e morale mi dà dolore fisico, mi si è pure ingrossato il fegato. Facile parlare di legalità. Basta che non sia a casa sua».

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