Io come la povera Moelgg. Vi racconto la disperazione per l’oro che fugge via

Val d’IsèreMa come fa Manuela Moelgg a non disperarsi, a non piangere in mondovisione, a restare così calma e fredda e rilassata? Dentro di lei, sicuro, bolle una rabbia indescrivibile, ma all'apparenza tutto è esattamente come dopo ogni gara andata male: Manu è dispiaciuta, nulla più. Sarà una donna o un robot? Perdere un Mondiale già vinto uscendo a dieci porte dal traguardo «fa male, fa tanto male». Ecco, lo ha detto anche lei, meno male, è viva, sente il dolore, ma forse non si rende ancora bene conto di cosa ha fatto.
Io so cosa vuol dire perdere un Mondiale dopo aver vinto la prima manche, lo so perché mi è successo. Era il 1982, eravamo in Austria, a Schladming, ero in testa davanti alla regina di allora, Erika Hess, proprio come ieri Manu era davanti a Lindsey Vonn. 24/100 il suo vantaggio, 27 forse il mio, non ricordo esattamente, ma cambia poco. A distanza di quasi trent'anni, se ci penso, mi vengono ancora le lacrime agli occhi. Affacciata al cancelletto della seconda manche, con una folla enorme laggiù ad aspettarmi, per un attimo mi sfiorò l'unico pensiero che non dovrebbe mai entrare nella mente di un atleta prima del via: «Questa manche potrebbe cambiarmi la vita». Fu proprio un attimo, ma bastò a farmi sentire all'improvviso le gambe molli. Mai provato? È come quando in macchina si rischia un incidente: scampato il pericolo, viene la tremarella.
Manuela Moelgg ieri non ha tremato, no. Lo ha detto lei, ma soprattutto lo ha dimostrato partendo nella manche decisiva, quella che poteva cambiarle la vita, come una furia e sciando bene, non perfetta come nella prima manche, ma bene, fino al tragico errore. Un'arretrata proprio con il traguardo già in vista, gli spigoli degli sci che restano come impigliati nella neve e via, dritta per la tangente, la porta da infilare ormai indietro, irraggiungibile.
Perché è successo, perché? «Perché lo sport è così, perché capita, perché stavo attaccando e un errore ci sta. Voltiamo pagina, sarà per la prossima, pensiamo all'Olimpiade dell'anno venturo». Ma come può essere così razionale? È altoatesina, già, ed è fatta diversa, sicuro. Mi torna in mente un episodio di un anno fa, quando seguii vicino a lei la seconda manche dello slalom maschile di Schladming con Manfred, suo fratello, al comando dopo la prima: io, ma non solo io credo, al suo posto sarei impazzita per l'emozione, mi sarei agitata, avrei urlato, incitato... Lei no, lei era calma e concentrata, visse l'errore che costò a Manfred la vittoria come una normale routine, senza balzi sulla sedia, senza nulla di nulla. Ieri Manfred è stato un po' più espansivo quando Manuela ha sbagliato: si è nascosto la testa fra le mani. Molto più plateale il gesto di Nicolas Sarkozy, ospite d'onore in tribuna, che dopo aver visto cadere nell'ordine la sua connazionale Sandrine Aubert, che era terza, e la regina del mondiale Lindsey Vonn, che era seconda, si deve essere detto mamma mia se porto rogna.
Perché Manuela fuori a 10 porte dalla medaglia sicura è stata solo la ciliegina sulla torta (amara) della giornata italiana di ieri: che dire infatti del bronzo mancato da Denise Karbon per 1/100? O del quinto posto di Nicole Gius, a 3/100 dalla compagna e quindi 4 dal podio? Quando si perde per dei battiti di ciglia è difficile stabilire come e perché è successo. È successo e basta. Quella davanti a te è andata più forte, punto. Anche questa è un'esperienza che ho avuto il dispiacere di provare, all'Olimpiade di Lake Placid nel 1980 persi infatti il bronzo in slalom per 3/100...


«Sono molto più dispiaciuta per l'errore di Manuela che per il mio quarto posto a 1/100» ha detto una super altruista Denise; «Ma certo, tanto anche se io fossi arrivata davanti le cambiava poco, quarta o quinta non faceva differenza!» ha scherzato Manuela. E la Gius: «Oggi ci è andato proprio tutto storto, eh!». Ma va?

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