«Io, scrittore di mare, adesso mi do al giallo»

Ama il mare e l’avventura e i libri-vascello dello scrittore svedese Björn Larsson (da La vera storia del pirata Long John Silver a Il cerchio celtico da Il porto dei sogni incrociati a La saggezza del mare) sono idealmente dedicati ad autori come Robert Louis Stevenson, Joseph Conrad e Daniel Defoe e ne reinventano l’immaginario in maniera moderna. La sua ultima avventura letteraria sono stati i racconti dell’antologia Otto personaggi in cerca (con autore) (Iperborea) e mentre l’autore nordico sta dando gli ultimi ritocchi al suo primo romanzo giallo (il cui titolo di lavorazione è I poeti morti non scrivono gialli) abbiamo avuto occasione di incontrarlo prima della sua partecipazione al Festival «Le Corde dell’Anima» di Cremona dove venerdì 4 giugno salirà sul palco in Piazza Duomo accompagnato dal gruppo dei Radiodervish che condividono con lui la passione marina nel loro ultimo disco Beyond the sea.
Lei parla un italiano quasi perfetto?
«Ho cominciato a impararlo di notte mentre ascoltavo alcune trasmissioni di Radiouno come Uomini e camion e Tutto il calcio minuto per minuto. Ascoltando quelle trasmissioni ho cominciato a chiacchierare in italiano di birra, camion, calcio, bar, locali notturni, autostrade, cambi del tempo. Poi ho cominciato a dedicare allo studio sistematico dell’italiano due o tre ore ogni settimana. Non ho un dono particolare per apprendere le lingue. Si è trattato di puro allenamento».
Quanto le è servito aver viaggiato realmente per amplificare la forza delle sue storie?
«Mi è servito, ma non per tutti i miei libri. Sicuramente non avrei mai potuto scrivere Il Cerchio Celtico se non avessi davvero navigato su una piccola barca a vela. D’altra parte devo ammettere che secondo me ci sono esperienze marine che altri hanno saputo raccontare in maniera unica e dalle quali è difficile prescindere come scrittore, anche se chi le ha narrate magari le ha solo immaginate e non vissute in prima persona. Credo che non ci sia nessun narratore che possa evocare e raccontare le tempeste come ha fatto Conrad. D’altra parte ci sono sensazioni che solo se le hai vissute puoi trasmettere, pensa a un tramonto sulle acque; è difficile inventarselo se non ne hai mai visto uno... Ma non bisogna mai dimenticare che ogni romanzo è fonte dell’immaginazione. Ogni volta si inventa un mondo. La vita è differente dal suo racconto. La narrazione non può che essere solo un tentativo di raccontare la realtà».
Che rapporto ha personalmente con il mare?
«Ho un rapporto con il mare continuativo anche se non devo scrivere. So che avendo una barca posso sempre partire domani, se le cose non vanno: se non scrivo più, se mia moglie mi lascia, ho questa possibilità di andare sul mare e vivere».
Quindi è come se avesse una porta sempre aperta sul futuro.
«Sì è un po’ questo».
Con il suo «L’occhio del male», pensava di anticipare così tanto il tema del terrorismo e soprattutto il clima di giorni funesti come quelli dell’11 settembre?
«No, perché quando l’ho scritto nessuno aveva paura dell’islamismo... L’avevo scritto pensando alla fine della guerra in Algeria. All’epoca la gente aveva più paura dei problemi legati alla nuova immigrazione in Francia. E quando è uscito oltr’Alpe ho fatto leggere il libro a un avvocato per verificare di non avere inserito elementi che potessero suscitare scandalo o potessero urtare alcuna sensibilità religiosa e politica (soprattutto di estrema destra come il movimento di Le Pen)... Cerco sempre di ricreare la realtà in maniera plausibile, e forse per questo succede che io possa apparire un profeta. È tutta una questione di immaginazione, il compito della letteratura è immaginare quello che potrebbe accadere».
Lei è un narratore che programma quello che sta scrivendo oppure naviga a vista?
«Io credo che il romanzo deve essere come la vita e la vita non è prevedibile, è sempre aperta ai mutamenti. Quando io comincio un romanzo non ne conosco mai la fine...».
Come mai ha voluto che a tratti nelle sue opere affiorassero elementi autobiografici?
«Forse i due libri in cui questo elemento personale è maggiormente evidente sono La saggezza del mare, Il Cerchio Celtico e Bisogno di libertà (l’unico veramente autobiografico) ma non credo che nelle mie prossime opere continuerò ad approfondire lati della mia vita personale, quando l’ho fatto è stato solo per trattare due temi che avevo cari come la libertà e il mare».
Che cosa leggeva quando era bambino?
«Jules Verne, Dumas, Stevenson, Cousteau ma anche Fenimore Cooper. Storie come L’ultimo dei Mohicani mi hanno spinto ad andare nei boschi e nelle foreste, a costruire archi e frecce...».
In realtà la componente più tecnologica e fantascientifica di Verne non c’è nei romanzi di Larsson...


«Io credo che la vera forza di Jules Verne non sia racchiusa nella tecnologia ma nell’umanità che racconta. I suoi libri vivono sempre non per la tecnologia, ma per l’umanità dei suoi personaggi. Pensi solo al capitano Nemo e alla sua drammatica esistenza; non ha niente a che fare con la meccanica del suo Nautilus».

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