"Io, sindaco di Cortina, sfido Marta Marzotto"

Andrea Franceschi. Eletto ad appena 28 anni. Riceve in ufficio alle 6 di mattina. Non si sente né veneto né altoatesino, ma "cittadino del mondo". Perciò non vuol dire se ha votato "sì" o "no" per l’annessione alla Provincia di Bolzano

"Io, sindaco di Cortina, sfido Marta Marzotto"

A soli 29 anni il sindaco di Cortina d’Ampezzo dimostra doti funamboliche che potrebbero farne l’Arnaldo Forlani del terzo millennio. Il referendum consultivo con cui domenica scorsa i concittadini hanno ripudiato il Veneto per maritarsi virtualmente con l’Alto Adige? «Non mi sbilancio». Da che parte tira la sua lista civica Progetto per Cortina, che nel maggio scorso l’ha catapultato in municipio col 61,2% dei voti? «Non mi sbilancio». Qualcuno milita forse in Rifondazione comunista? «Non mi sbilancio».
Persino nell’atto di nascita Andrea Franceschi s’è scelto un cognome che stesse nel mazzo. Lui è del ramo «De Mattia», con probabile riferimento storico a un fu Mattia che non era Pascal e di cui comunque il signor sindaco non sa nulla. I soprannomi, da queste parti, sono indispensabili per riconoscersi. Con i Ghedina, gli Zardini e i Pompanin, la conca ampezzana pullula di Franceschi, tant’è vero che fino al 2002 la cittadina fu governata per due mandati da un altro Franceschi, Paolo, «neanche parente». I genitori dell’attuale sindaco, Ernesto e Carla, gestiscono un albergo: il Franceschi (manco a dirlo) Park Hotel.
Solo in un’occasione il giovane primo cittadino si sbilancia, parteggia, prende posizione, sbarella: quando gli parli della sua Cortina, un amore totalizzante, come ha capito anche la fidanzata Martina, maestra di sci, che lo scorso 28 luglio gli ha appuntato sul bavero della giacca una spilletta con la scritta «Cortina» realizzata a mano da un orafo. Il regalo di compleanno.
Laureato in economia dei mercati finanziari alla Bocconi, per amministrare la perla delle Dolomiti il sindaco Franceschi ha rinunciato al lavoro di consulente in Banca Mediolanum, e anche al pianoforte, alle gite, agli scacchi, alle letture. S’è messo in aspettativa per cinque anni a 1.900 euro netti al mese, l’indennità prevista dalla legge. Da buon economista ha elaborato una proiezione delle perdite che l’impegno politico comporterà nell’arco del quinquennio: «Dai 50.000 ai 100.000 euro». Per Cortina, questo e altro.
Non saranno pochi 29 anni per fare il sindaco?
«Conta lo spirito. Ci sarà un motivo se gli ampezzani, che sono molto tradizionalisti, hanno deciso di dare fiducia a un tizio che al momento di candidarsi di anni ne aveva appena 28».
Me lo dica lei, il motivo.
«Per la prima volta hanno intravisto una speranza di cambiamento. La mia lista è stata in campagna elettorale per un anno. Io personalmente sono andato a Bologna e a Pesaro a vedere che cosa fanno quelle amministrazioni civiche per la cultura. Altri sono andati in Alto Adige, a Madonna di Campiglio, a Saint Moritz a studiarsi come si gestiscono le stazioni sciistiche. Insomma, ci siamo suddivisi i compiti».
E adesso che avete manifestato la volontà d’essere annessi alla Provincia autonoma di Bolzano?
«La palla passa a Roma, che deve approvare una legge ad hoc».
Tempi?
«Non mi sbilancio. Lunghissimi, in ogni caso. Ci tengo a sottolineare che il referendum non l’ha promosso la mia amministrazione, bensì quella precedente, su richiesta dell’Unione dei ladini d’Ampezzo».
Lei non l’avrebbe indetto?
«Se ne parlava da mezzo secolo. L’ho organizzato e ho invitato gli elettori a recarsi alle urne».
Come ha votato?
«Non lo dico».
Non si sbilancia. Eppure per mesi aveva assicurato che si sarebbe espresso a ridosso della consultazione.
«Vero. Ma i toni s’erano surriscaldati troppo».
Secondo me ha votato a favore della scelta separatista.
(Sorride). «Non lo saprà mai».
Perché Cortina dovrebbe stare in Alto Adige?
«Ci sono motivazioni storiche, culturali, linguistiche».
E quattrinistiche.
«Di là c’è una fiscalità diversa, inutile nascondercelo. Se lei a Dobbiaco, 20 chilometri da qui, vuole costruire un albergo, le danno sovvenzioni a fondo perduto e crediti a tasso agevolato, com’è giusto che sia, visto che attira turismo e crea ricchezza per tutti. Invece per rinnovare il loro hotel i miei si sono dissanguati, hanno dovuto indebitarsi per vent’anni».
Quanti fondi vi arriverebbero dalla Provincia autonoma di Bolzano?
«Non lo so e non m’interessa. Cortina è già ricca. Incassiamo 10 milioni di euro l’anno soltanto di Ici, si figuri. Sono altre le tematiche che ci stanno a cuore».
Per esempio?
«Le pare normale che per arrivare a Belluno, 60 chilometri, ci s’impieghi un’ora e mezzo di auto?».
Non è che l’adesione all’Alto Adige accorci il tragitto.
«Sono anni che si parla di prolungare la A27 fino a Tai di Cadore. Sarebbero 30 chilometri guadagnati. Ma se ne parla e basta, appunto».
La Cgia di Mestre vi ha fatto i conti in tasca. A Cortina la spesa corrente per gestione e personale raggiunge la stratosferica quota pro capite di 2.373 euro l’anno, mentre nella Provincia autonoma di Bolzano è meno della metà, 1.092 euro. In compenso gli investimenti per opere pubbliche in Alto Adige ammontano a 1.260 euro pro capite, mentre a Cortina sono meno della metà, 587 euro. Siete la capitale delle virtù capovolte.
«Siamo un Comune atipico, che in alcuni periodi dell’anno vede decuplicare la popolazione. Dobbiamo reggere l’onda d’urto di 50.000 villeggianti».
Marta Marzotto, da 54 anni regina dei salotti cortinesi, è arrabbiatissima. Dice che siete degli ingrati, che l’avete fatto come Giuda per 30 denari di tasse, che se la casa di vacanza fosse ancora sua la venderebbe immediatamente, che avete trasformato il paese in una sorta di Harrods dove qualsiasi cosa costa il triplo che a Milano o Roma.
«Alla contessa rispondo che non conosce la realtà di Cortina. Lei viene solo 15 giorni a Ferragosto e la settimana di Natale. Lo sa che qui un trilocale in affitto per una coppia di giovani sposi costa non meno di 15.000 euro annui? Ho miei coetanei che si sono dovuti trasferire a malincuore a San Vito, a Borca, a Vodo».
Vi lamentate delle troppe tasse, ma l’imprenditore Gaetano Marzotto, anche lui con seconda casa a Cortina, vi mazzuola: «Comincino a fare la loro parte. Se vado in un ristorante di Dobbiaco, mangio meglio e spendo la metà. I cortinesi sono veneti. Non vengano a parlarmi di identità ladina».
«Cavolate».
Ma che c’entra Cortina col Tirolo? In effetti siete a 370 chilometri in linea d’aria da Vienna e ad appena 120 da Venezia. Cioè siete tre volte più veneti che crucchi.
(Allarga le braccia). «È un dato oggettivo. Ma non v’è dubbio che per circa quattro secoli Cortina sia stata austroungarica. A San Vito di Cadore c’è ancora la dogana asburgica».
Non la imbarazza governare contro un 43,7% di elettori che non sono andati alle urne o hanno votato no perché si sentono veneti e vogliono restare nel Veneto?
«Se mi fossi schierato, sì, m’imbarazzerebbe. Ma non l’ho fatto. E ho invitato tutti, ora che il referendum è finito, a mettere da parte le contrapposizioni».
Parla bene, lei, però a Ernesto Majoni, leader del no, hanno imbrattato la casa con insulti e minacce.
«Hanno sbagliato appartamento, a dir la verità. La scritta “Ernesto traditore” è stata tracciata sui muri del vicino».
Perché mai lo Stato dovrebbe accettare la progressiva disgregazione di alcune aree del territorio italiano?
«Infatti lo Stato non la accetterà. Ma dovrebbe cominciare a preoccuparsi. Se c’è una fila di Comuni che vogliono cambiare provincia o regione, qualcosa vorrà pur dire. La stagione dei finanziamenti una tantum è passata. O si stanziano fondi strutturali per la montagna o qui finisce male».
Lei si sente veneto o altoatesino?
«Mi sento cittadino del mondo».
Non si sbilancia.
«So che è una frase fatta. Ma ho vissuto sette anni a Milano e poi a Padova. Mi sento cortinese. Che Cortina sia di qua o di là, per me fa lo stesso. Le voglio bene ugualmente».
Parla il tedesco?
«No. Parlo l’ampezzano, che viene dal ladino».
Ha parenti in Alto Adige?
«Un lontano cugino a Merano. Ma ne ho anche in Brasile, se è per quello».
Però lei è nato a Pieve di Cadore, la patria del Tiziano, non di Andreas Hofer. Il quale Tiziano divenne famoso a Venezia.
«Mia madre è stata super partes: ha partorito me a Pieve e mio fratello Matteo a Dobbiaco».
Che cos’è per lei la Serenissima?
«Una parte del passato di Cortina».
Si trova a suo agio in compagnia di Eva Klotz, figlia del «martellatore della Val Passiria», la quale ha subito dichiarato che dopo questa vittoria l’Alto Adige deve ora trovare il coraggio di staccarsi dall’Italia e passare con l’Austria.
«Oddio...». (Allarga le braccia). «Le opinioni sono tutte rispettabili. Questa non la condivido».
Che cosa mi dice di Luis Durnwalder, il presidente della Provincia autonoma di Bolzano che vi ha spalancato le porte?
«Gioviale, carismatico, molto deciso. Ci siamo visti due volte, la prima nel febbraio scorso. Ero andato a chiedergli di mia iniziativa se fosse a conoscenza del fatto che il precedente Consiglio comunale di Cortina aveva approvato l’indizione di questo referendum consultivo. Non ne sapeva nulla».
Scommetto che l’ha ricevuta alle 6 del mattino.
«Indovinato. Anch’io un giorno la settimana ricevo in municipio dalle 6. Quattro persone l’ora, fino a mezzogiorno».
Ma gli italiani non stanno sull’anima ai sudtirolesi?
«Non lo so».
Provi a prenotare un albergo in Alto Adige senza parlare in tedesco, se ci riesce.
«Me l’hanno riferito. Non è segno di molta stima nei nostri confronti. Beati loro che possono permettersi di scegliere i clienti in base alla simpatia».
E Giancarlo Galan, presidente della Regione Veneto, lo conosce?
«Ho incontrato due volte anche lui».
Per non sbilanciarsi.
«Intelligente, simpatico, gioviale come Durnwalder».
Galan è pronto a ricorrere alla Corte costituzionale e alla Corte di giustizia europea se il Consiglio provinciale di Bolzano dovesse dare il proprio assenso al distacco di Cortina dal Veneto.
«Ha un modo forte di esprimersi. Fa parte del personaggio».
È incazzato nero.
«Più che con noi ce l’ha con Durnwalder».
«È lapalissiano che il passaggio di Cortina alla Provincia di Bolzano estenderebbe a territori già ricchi benefici ulteriori, che finirebbero per essere pagati dai cittadini rimasti nel Veneto e dalle altre popolazioni svantaggiate d’Italia», sostiene Galan. Non ha torto.
«Gliel’ho detto: Cortina è ricca di suo».
Diventerebbe ancora più ricca.
«Può darsi. Ma non è Cortina che fa la differenza. L’Alto Adige sta bene anche senza di noi».
Galan lavorava per Publitalia, lei per Banca Mediolanum. Venite entrambi dalla galassia Fininvest ma sembrate due estranei.
«Vado molto d’accordo con Galan. In questi cinque mesi la Regione ci ha aiutato parecchio».
Mi sa che Galan se ne lamenterà col veneto Ennio Doris, fondatore di Banca Mediolanum, e col suo socio Silvio Berlusconi.
«Vediamo se mi chiamano Doris e Berlusconi. Non credo».
Non è assurdo, dopo aver fatto l’Europa unita, inseguire le piccole patrie?
«Il fatto è che i cortinesi, percorsi pochi chilometri verso nord, notano alcune cose».
Sentiamo.
«In Val Badia la popolazione è aumentata dal 15 al 30% mentre a Cortina in 30 anni si è dimezzata. Di là esistono politiche per trattenere la gente in montagna, di qua no. Non c’è alberghetto dell’Alto Adige che sia privo del suo bel centro benessere. Passata la linea di confine, le strade diventano lisce come biliardi. Se hai un’idea, un progetto, le autorità bolzanine ti danno la possibilità di realizzarlo. Una strada loro la fanno in 12 mesi. Da noi è venuto giù il ponte sul torrente Rudavoi fra Cortina e Misurina: sono passati dieci anni e c’è ancora una passerella provvisoria in legno con il semaforo e il senso unico alternato».
Che cosa diranno di questo tradimento gli ospiti illustri di Cortina, i Benetton, i Marzotto, i Tabacchi, i Riello, gli Zoppas, i De Longhi, tutti veneti?
«La cosa migliore è che non dicano niente. Se amano passare qui le vacanze, non vedo come possa interessargli in quale provincia o regione si trovino».
Il miglior complimento che ha ricevuto in questi primi mesi da sindaco?
«Da un avversario: “Se tornassi indietro, ti voterei”».
E la peggior offesa?
«Ho avuto attacchi d’ogni tipo. Mi hanno persino accusato di non essere andato alla messa delle 10 per la festa delle bande».
Saranno affari suoi, se andare in chiesa o no.
«Ma io a messa quella domenica c’ero, come sempre. Ci vado per fede, mica per farmi vedere. Infatti ero confuso tra i fedeli».
Il suo programma cominciava con una premessa: «Intendiamo essere la voce dei bambini, dei giovani, degli adulti, degli anziani, delle famiglie, di tutti coloro che amano davvero Cortina d’Ampezzo».

Perché ha messo al primo posto i bambini?
«Perché ne nascono 50-60 l’anno e io desidero che restino a vivere qui. Non voglio vederli andar via, com’è toccato a tanti della mia generazione che non torneranno mai più».
(395. Continua)
stefano.lorenzetto@ilgiornale.it

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