Ipocrisia e silenzio: il Pd si nasconde

RomaVicenda inquietante. Non si guarda dal buco della serratura. E poi tutta questa storia puzza. Sospetti i tempi, «inquietanti» i metodi da «spionaggio». Che la politica italiana non sia il regno della coerenza lo sanno anche i sassi. Ma due svolte nel giro di poche settimane sono un’impresa difficile anche per gli eredi dell’ex Pci. Il Partito democratico c’è riuscito. Prima la conversione neobacchettona in occasione del caso D’Addario e dei dettagliatissimi resoconti della stampa sulle vicende del premier. Ieri un ritorno di fiamma iper garantista, a beneficio del presidente della Regione Lazio Piero Marrazzo.
Evidente la volontà di non disturbare le primarie. I tre candidati alla guida del Partito democratico hanno espresso contemporaneamente solidarietà a Marrazzo. Primo Dario Franceschini, che invoca la forca per chi ha teso la trappola: «È un vicenda che parla da sé. Ci sono già stati provvedimenti dell’autorità giudiziaria, i ricatti vanno condannati e puniti». Nessun accenno al merito, come quando sulle escort a Palazzo Grazioli Franceschini sostenne che si trattava di cose «talmente evidenti che gli italiani si fanno un’idea senza che lo dica il segretario del Pd». Chi ha «un ruolo pubblico deve trasmettere dei messaggi, ed in questo caso sono stati negativi», sosteneva il leader Pd.
Generica solidarietà da Pierluigi Bersani a Marrazzo, «vittima di una vera e propria aggressione e di un incredibile ricatto. Continui serenamente a svolgere, come ha fatto finora». Il premier non potè contare sulla solidarietà del futuro segretario del Pd. A Berlusconi toccò una rampogna democratica su «serietà e sobrietà», accanto alla constatazione che le vicende del premier «hanno dato un colpo non banale alla nostra credibilità internazionale».
Anche Ignazio Marino, il più vicino tra i candidati alla sinistra giustizialista, ieri ha parlato di «attività di spionaggio e di ricatto portate avanti da alcune mele marce tra le forze dell’ordine». E la memoria va a quando, poco tempo fa, aveva invocato la questione morale criticando i vertici laziali del Pd perché in una sezione della periferia romana si era iscritto quello che poi si rivelò essere uno stupratore.
La vicenda di Marrazzo è diventata uno spartiacque, con spettacolari cambi di ruolo. Colpisce la gelida difesa di Massimo D’Alema e quella, invece, calorosa, di Antonio Di Pietro. L’ex premier si è limitato a dire: «Non saprei come commentare, al di là ovviamente della solidarietà personale per chi si trova al centro di un tentativo di ricatto, di estorsione. Per il resto c’è un’indagine della magistratura. L’auspicio è che si faccia chiarezza su tutti gli aspetti di questa vicenda».
Affettuoso e garantista il leader di Italia dei valori che ha espresso solidarietà al presidente della Regione Lazio Piero Marrazzo «per la grave intimidazione subita. Apprezziamo che il presidente della Giunta regionale del Lazio non abbia ceduto al ricatto e si sia rivolto alla magistratura che ha scoperto criminali con l’aggravante di vestire la divisa». Ragionamento che non fa una piega, seguito da un cavallo di battaglia di chi in questi anni si è trovato dall’altra parte rispetto all’ex pm: «Il problema di fondo che sta sporcando la politica italiana di questi ultimi anni è il sistema di dossieraggio, di veline e di criminalizzazione per liberarsi degli avversari politici che vengono indeboliti sul piano personale».
Sono lontani i tempi in cui Di Pietro sosteneva che «le vicende private di persone pubbliche e delle istituzioni hanno un impatto etico e morale sui cittadini. Le vicende personali di Silvio Berlusconi, che lo coinvolgono un giorno sì e l’altro pure, in scandali e gossip, nascondono un comun denominatore: la ricattabilità di una figura chiave delle istituzioni».
Se la vicenda Marrazzo sia l’inizio di una nuova fase nella politica e nell’informazione difficile dirlo. Colpisce comunque che ieri il quotidiano Repubblica, dopo mesi di resoconti su Berlusconi, ha parlato del ricatto ai danni di Marrazzo, legandolo a «momenti della sua vita privata».
Nel centrodestra, si può registrare qualche attestato di solidarietà. Come quello del ministro per l’attuazione del Programma Gianfranco Rotondi e quello di altri esponenti del Pdl.

Ma anche reazioni dure, come quella del presidente del gruppo Pdl al Senato, Maurizio Gasparri, che ha chiesto al governatore di fare chiarezza. E c’è anche chi, come Amedeo Laboccetta, deputato Pdl, si prepara a stilare dieci domande a Marrazzo. Come quelle che Repubblica ha fatto al presidente del Consiglio.

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