Milano - Non ci credeva neppure Steve Jobs. «Mi trovavo su Madison Avenue e mi sono reso conto che a ogni isolato incontravo qualcuno con le cuffie bianche in testa. Ho pensato “Ci siamo: sta accadendo”». Era il 2004 e l’iPod era ancora niente. Aveva venduto sei milioni di pezzi. Oggi il "padre padrone fondatore presidente" della Apple non si stupisce più: ringrazia il cielo, se stesso e la gente. «Cento. Cento. Cento».
Cento milioni: un po’ come se ogni italiano ne possedesse due. In cinque anni e mezzo quel juke box portatile bianco, poi diventato nero e multicolor, ha cambiato il modo di vivere. A New York ce l’ha un abitante su quattro. Dici: ma è l’America. Invece no, quello che ha visto Jobs lo vedono tutti: in metropolitana, per la strada, negli autobus, sui motorini, sulle biciclette. Spuntano le cuffie bianche e c’è il ronzio di un brano che sta entrando nelle orecchie. I primi sembravano marziani, oggi nessuno ci fa più caso. Il settimanale Newsweek tempo fere una copertina così: «Se non hai l’iPod non sei nessuno». Preistoria pure questa. Superata: è passato dall’epoca dello snobismo, a quella cult, per entrare nella quotidianità. Prima faceva figo: ce l’avevano quelli giusti, ce l’avevano le star e le starlette, era arrivato a George W. Bush, così come alla Regina Elisabetta d’Inghilterra e pure al Papa. Ora la generazione iPod s’è allargata: giovani, adulti, vip e gente comune. Trasversale: manager, studenti universitari, yuppies e no global. Tutti. Perché l’iPod è la democrazia della musica. Ha liberato dall’angoscia del cd, ha annullato l’odiosa sensazione di doversi comprare dieci canzoni tutte insieme perché piace l’undicesima dell’album. E però anche i maniaci della musica perfetta se lo godono: comprano i brani a massima risoluzione e li custodiscono nella loro scatoletta da sei centimetri per dieci. Mille, cinquemila, diecimila, ventimila: ci si può infilare la vita, la colonna sonora dell’esistenza.
È diventato un compagno: parla con la voce di qualcun altro, così quelli che prima avevano l’amico immaginario, adesso s’illudono di averne trovato uno concreto. Non si muove, però. La generazione ha portato la degenerazione. Eccola. Gli Stati Uniti l’affrontano adesso: tre anni fa la mania aveva portato idee come quella della Duke University, che per convincere i ragazzi a iscriversi aveva deciso di regalare un iPod a ogni matricola. Stesso discorso per 300 allieve di un liceo di Manhattan: a un certo punto fu richiesto come parte integrante del curriculum dalla Brearley School, una scuola femminile d’élite dell’Upper East Side frequentata dalle figlie di Caroline Kennedy, Uma Thurman, Michael J. Fox. Doveva addirittura servire per il lavoro in classe e per i compiti a casa di francese, spagnolo e cinese, per lo studio del latino. Ovviamente le ragazze potevano usarlo anche per scaricare musica.
Ora che non è più esclusivo, per qualcuno l’iPod è diventato un problema. Dicono: troppa gente s’infila le cuffie e non pensa più a niente. Nel deserto dell’Arizona fa un po’ strano, ma non è pericoloso. Su Broadway all’ora di punta fa strano lo stesso e può fare anche male: ti perdi nella musica e attraversi la strada col rosso. È successo e succederà: lo Stato di New York pensa di vietare l’iPod per strada. Quando decideranno di approvare la legge, sarà già inutile. Cento milioni sono tanti. Aumenteranno ancora, ma non all’infinito: Steve Jobs ringrazia la gente che ha salvato la sua azienza comprando il juke box bianco, ma pensa già ad altro.
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