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Le ipotesi sulla riforma: quota 100, parità, scalini

Il Pdl studia nuove modifiche al decreto e va a caccia di un’intesa con la Lega in cambio della riduzione dei tagli agli enti locali

Le ipotesi sulla riforma: 
quota 100, parità, scalini

Roma - Il menù degli interventi sulle pensioni c’è, ricchissimo, ed era pronto prima che la manovra di Ferragosto venisse approvata dal Consiglio dei ministri. Il veto della Lega e quello dei sindacati hanno ridotto le alternative, ma non hanno eliminato l’idea di un intervento sulla previdenza. Bastava leggere ieri l’intervento di Renato Brunetta sul Sole24ore («Ancora oggi c’è la possibilità di pensionarsi prima di raggiungere l’età per la vecchiaia e questa scelta viene incentivata nella misura in cui i trattamenti di oggi sono ancora calcolato con il sistema retributivo») per capire sul tavolo resistono anche le ricette più «estreme», quelle che puntano, nel medio termine, ad annullare le pensioni di anzianità lasciando solo la vecchiaia. E, soprattutto, un’ulteriore accelerazione sull’aumento dell’età delle donne.
La contropartita per convincere Umberto Bossi a mollare la presa sulla previdenza resta la riduzione dei tagli a Comuni, Province e Regioni. I tagli alle autonomie locali e una stretta sulle anzianità, per dirla con le parole dell’economista Francesco Forte, sono le uniche leve per ridurre strutturalmente la spesa pubblica.
Passando alle ricette, una di queste nasce dal Pdl e per la precisione da Giuliano Cazzola, uno dei maggiori esperti italiani di previdenza. L’idea è di anticipare al 2015 «quota 100», cioè il requisito che somma l’età anagrafica con quella contributiva. Tra quattro anni sarebbe necessario avere 40 anni di contributi e 60 di età, oppure 35 di contributi e 65 di età.
La versione più soft degli interventi, punta ad anticipare di un anno l’ultimo scalino e quindi «quota 97». Su questa ipotesi, nelle fasi più concitate prima dell’approvazione del decreto, anche la Lega Nord sembrava disposta ad accettare un compromesso. La normativa vigente prevede quota 96 nel 2011 e nel 2012, con il requisito anagrafico a 60 anni. L’idea sarebbe di fare scattare da subito quota 97. In questo caso, i risparmi sarebbero minimi, poco sopra il mezzo miliardo di euro e il valore sarebbe soprattutto simbolico. Oppure - ed è questo uno dei percorsi che nella maggioranza e nel governo si sta valutando - quota 97 nel 2012 potrebbe essere uno scalino intermedio prima di fare scattare quella a 100.
Uscita flessibile, retributivo per tutti. È il coniglio dal cilindro di parte del Pd. Proposta avanzata da Pier Paolo Baretta, ex esponente della Cisl e ora parlamentare democratico. Consiste nel fissare un arco di tempo, tra 62 e 70 anni (ma anche 72) entro il quale il lavoratore può decidere di andare in pensione. Condizione necessaria, la rendita deve essere calcolata con il sistema contributivo, per tutti. Su una proposta simile, nei mesi scorsi, si era ritrovato d’accordo anche Cazzola.
Ancora in discussione l’altro grande capitolo, cioè un ulteriore accelerazione nell’aumento dell’età della pensione di vecchiaia per le donne che lavorano nel privato. Nel Pdl e nel governo non è tramontata l’idea di intervenire anche qui. La ricetta consiste nel fare aumentare l’età delle donne, non dal 2016, come prevede il decreto, ma a partire dal 2012, con scalini di sei mesi ogni anno o di un anno ogni due, in modo di arrivare nel 2022 alla parità.
Se questa ricetta fosse applicata, insieme a quota 100, il risparmio sarebbe di 4 miliardi all’anno.

E i tagli agli enti locali sarebbero ridotti al minimo.

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